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"L'Eneide",

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a richiamarlo ed a recargli il cenno<br />

de l'affannato padre.<br />

Ma i compagni<br />

Lauso portavan sopra l'armi morto,<br />

piangendo, grande con la grande piaga.<br />

Ben riconobbe i gemiti da lunge<br />

il cuor presago di sventura: ei tutta<br />

sparge di polve sua canizie, e leva<br />

alto le palme, e su lui s'abbandona.<br />

"O figlio, e tanto amor posi a la vita<br />

che offrir soffersi a la nemica destra<br />

l'unigenito mio per me? Son vivo<br />

ancora io dunque, perché tu sei morto?<br />

Or sí, misero me, duro m'è il fato,<br />

or sí m'è scesa la ferita addentro!<br />

O figlio, e son pur io che il nome tuo<br />

macchiai di colpa, e venni in ira e privo<br />

del soglio e de lo scettro avito. Pena<br />

a la patria ed al popolo che m'odia<br />

io doveva: oh l'avessi a lor pagata<br />

per qual sia morte questa vita rea!<br />

Pur vivo, e ancora gli uomini e la luce<br />

non lascio. Ma li lascierò".<br />

Dicendo<br />

cosí si leva su l'infermo fianco<br />

e, affranto pur da la ferita acerba,<br />

non avvilito, vuol che gli si adduca<br />

il suo cavallo. Era sua gloria e gioia,

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