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"L'Eneide",

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di Fíneo chiusa ed elle fur cacciate<br />

da le mense di prima con paura.<br />

Mostro odïoso piú di lor, piú rea<br />

maledizion del cielo non emerse<br />

da l'onde stige. Faccia di fanciulle<br />

hanno gli alati, nauseoso effluvio<br />

di ventre, unghiate mani, e i visi sempre<br />

pallidi per la fame.<br />

Come quivi sospinti entrammo in porto,<br />

ecco belle di buoi mandre vediamo<br />

vaganti a la campagna ed una greggia<br />

di capre senza guardïan per l'erbe.<br />

Con l'armi le assaltiam, gli Dei chiamando<br />

e Giove stesso a parte della preda:<br />

sul curvo lido disponiamo i deschi<br />

e banchettiam de le vivande laute.<br />

Ma improvvise terribili calando<br />

ecco le Arpie dai monti e squassan l'ali<br />

rombanti, strappan le vivande, e tutto<br />

del tocco lercio imbrattano: selvaggia<br />

è la lor voce tra l'orribil puzzo.<br />

Di nuovo in parte piú riposta e sotto<br />

il cavo ciglio d'una rupe, cinti<br />

dagli stormenti intorno alberi ombrosi,<br />

poniam le mense e ravviviamo l'are:<br />

di nuovo da diversa plaga e ignoti<br />

covi il sonoro stormo intorno vola<br />

co' piè adunchi a la preda e con le bocche

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