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"L'Eneide",

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fu da la biga e nero di cruenta<br />

polvere e per gli enfiati piè trapunto<br />

da le redini. Ahimè qual era! quanto<br />

cangiato da quell'Ettore che torna<br />

de le spoglie d'Achille rivestito,<br />

o messo il frigio fuoco a' legni achei!<br />

Fosca la barba, il crin grumi di sangue,<br />

con le tante ferite che d'intorno<br />

a' muri de la patria ebbe per lei.<br />

E mi parve che primo io lo chiamassi<br />

piangendo e mesto prorompessi: - O luce<br />

de la Dardania, o la piú salda speme<br />

de' Teucri, quale ti trattenne indugio<br />

sí lungo? da che terra, sospirato<br />

Ettore, vieni? Oh come, dopo molte<br />

morti de' tuoi e dopo il vario affanno<br />

de la città, te lassi rivediamo!<br />

Qual malvagia cagione ha guasto il tuo<br />

volto sereno? e che ferite vedo? -<br />

Ei nulla, e al vano chieder mio non bada;<br />

ma con un grido e un gemito profondo<br />

- Ah! fuggi, figlio de la Dea, mi dice,<br />

e scampa a queste fiamme. È tra le mura<br />

il nemico; precipita dal sommo<br />

l'alta Troia. Fu fatto per la patria<br />

e per Priamo assai. Se si potesse<br />

or Pergamo difendere col braccio,<br />

era difesa già dal braccio mio.

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