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TESI DI LAUREA in Economia Civile VOICE OR - Aiccon

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Il livello di capitale umano è determ<strong>in</strong>ato dagli <strong>in</strong>vestimenti <strong>in</strong> istruzione, formazione<br />

e ricerca che un paese è disposto a sostenere; <strong>in</strong> questo modo il capitale umano è <strong>in</strong><br />

grado sia di utilizzare le <strong>in</strong>novazioni ma anche di produrle, spostando <strong>in</strong> avanti la<br />

frontiera di produzione ed aumentando il livello di <strong>in</strong>novazione.<br />

Ho voluto illustrare questo modello, perché ritengo che permetta di collegarsi a ciò<br />

che già gli antichi greci avevano capito, e che purtroppo è stato accantonato col passare<br />

dei secoli: la funzione che l’educazione e l’istruzione hanno all’<strong>in</strong>terno di un popolo.<br />

Come già detto precedentemente, la globalizzazione si basa soprattutto sulla<br />

conoscenza, a differenza delle due precedenti rivoluzioni <strong>in</strong>dustriali; se la si possiede, si<br />

è soggetti attivi di questo fenomeno, altrimenti si è <strong>in</strong> balìa di fatti non direttamente<br />

gestibili, schiavi di uno sviluppo di altri da cui si rimane però personalmente esclusi.<br />

Attraverso lo sviluppo umano, <strong>in</strong>teso come nella def<strong>in</strong>izione dell’UNDP, si vuole<br />

scongiurare questa possibilità, per mezzo di un ampliamento delle opportunità a<br />

disposizione dei s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong>dividui che appartengono ai paesi più poveri, tramite la<br />

formazione ed il potenziamento delle capacità umane.<br />

Per questo motivo diventa di fondamentale importanza l’analisi e la comprensione<br />

della rilevanza di concetti come la mortalità <strong>in</strong>fantile, la speranza di vita alla nascita,<br />

l’istruzione, la diffusione di mezzi di comunicazione culturale, l’allargamento dei regimi<br />

democratici e dei diritti umani (Solivetti, 2002).<br />

3.1.4 Analisi empirica delle componenti dell’H<strong>DI</strong><br />

La vita è il prerequisito di ogni altro aspetto di benessere e di qualità dell’esistenza,<br />

dal momento che ovviamente beni e servizi possono avere valore solo se si è vivi.<br />

Pertanto, la mortalità <strong>in</strong>fantile (IMR) – la quale misura la possibilità di sopravvivere<br />

al primo anno di vita – è evidentemente la pietra angolare dello stesso sviluppo umano.<br />

I livelli di mortalità <strong>in</strong>fantile nei vari paesi del mondo al 2001 (vedi <strong>in</strong>fra Grafico 3 –<br />

Evoluzione della mortalità <strong>in</strong>fantile tra il 1960 e il 2001) si collocano, con una sola<br />

eccezione – l’Azerbaijan –, al di sopra della diagonale che <strong>in</strong>dica una condizione di<br />

perfetta staticità rispetto a livelli registrati nel 1960.<br />

Si tratta qu<strong>in</strong>di di un miglioramento generale. Negli anni ’60, se si escludono i paesi<br />

<strong>in</strong>dustrializzati, la situazione per le altre aree era – tra loro – assai simile: tassi medi di<br />

mortalità <strong>in</strong>fantile tra i 100 e i 160 morti nel primo anno di vita (ogni 1.000 nati vivi).<br />

La situazione più recente è, <strong>in</strong>vece, molto più diversificata: vi sono stati miglioramenti<br />

significativi <strong>in</strong> America Lat<strong>in</strong>a e Carabi, Asia Orientale e Pacifico, e anche <strong>in</strong> Medio<br />

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