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Cop. quaderni cultura timavese - Taic in Vriaul

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ANGELO ARBOIT<br />

metà dell’erta s’<strong>in</strong>contrò <strong>in</strong> mastro Silverio che col piccone stava franando il terreno,<br />

come se volesse levare al monte la cuticagna. L’antenato di m io marito era un uomo<br />

coraggioso, e lo scongiurò:<br />

- Che fate voi qui dalla parte di Dio? Gli disse.<br />

- Lavoro a disfare ciò che ho male acquistato, rispose il dannato che non poteva<br />

resistere allo scongiuro. Dio m’ha contattato a picconar la montagna e con me i miei<br />

discendenti f<strong>in</strong>o alla settima generazione, cont<strong>in</strong>uò; guai agli spergiuri!<br />

E si dileguò.<br />

Da quel momento la terra di sotto pr<strong>in</strong>cipiò a muoversi come un isolotto nuotante e<br />

la Muse divenne oggetto di meraviglia e di arcane paure <strong>in</strong> tutti i d<strong>in</strong>torni da secoli e<br />

secoli f<strong>in</strong>o a’ giorni nostri. Ognun sa che i Silverio, pei peccati di messer Agost<strong>in</strong>o,<br />

questo loro antenato, furono predest<strong>in</strong>ati f<strong>in</strong> dal nascere all’<strong>in</strong>fernale lavoro, e si cercò<br />

di evitarli come gente appestata.<br />

Ciò che diceva la Deliziotti è tenuto per vero anche oggidì.<br />

E’ tanto viva questa credenza a Paluzza che l’ultimo dei Silveri, morto qualche<br />

anno fa, non volle mai assaggiare dei frutti della montagna maledetta, non latte, non<br />

cacio, non altro.<br />

Due sole donne sopravivono ancora nel villaggio, di quella famiglia, morte le quali,<br />

son f<strong>in</strong>ite le sette ette (età).<br />

Povere <strong>in</strong>felici! Esse vivono separate da tutti, sotto l’<strong>in</strong>cubo di una paura fatale,<br />

vittime d’una cieca superstizione!<br />

Siamo tuttavia nel secolo dell’ignoranza.<br />

208<br />

• le Poste •<br />

Ridottomi al solito mio quartier generale, e rimutati i vestiti, dopo le solite ciarle<br />

coll’eccellente padrona dell’albergo, collo speziale, e le sue signore, mi posi a tavola<br />

colla solita cena davanti, una trota lessa e una <strong>in</strong> guazzetto. Tutti i gusti son gusti e<br />

quello era il mio. Non avevo ancora f<strong>in</strong>ito di mangiare che sentii fermarsi un carro<br />

davanti l’albergo, e quasi subito dopo salir le scale e aprir l’uscio della sala i nuovi<br />

arrivati. Erano i signori Smith orribilmente fradici e <strong>in</strong>zaccherati.<br />

- Come! Dissi loro, questa sera anche voi?<br />

- Vedendo che il tempo è ost<strong>in</strong>ato, rispose il signor Smith, abbiamo deciso di<br />

calare al piano anche noi.<br />

- Come siete venuto? Mi domandò la signora.<br />

- A piedi, madama. E voi, di grazia?<br />

- Su d’un carro; ma vado a fare un po’ di toaletta; perdonate, <strong>in</strong> dieci m<strong>in</strong>uti<br />

saremo qui.<br />

Infatti scorsi appena i dieci m<strong>in</strong>uti, la signora rientrava, cambiata d’abito, netta,<br />

asciutta, e accomodata i capelli.<br />

Non ve ne meravigliate, lettrici mie, perché quella dama era <strong>in</strong>glese, e viaggiatrice.<br />

Quaderni di <strong>cultura</strong> <strong>timavese</strong>

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