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giorni. Questi il giorno dell’attentato si era recato presso l’abitazione della<br />
vittima intorno alle 11.00; insieme avevano visto la televisione e pranzato.<br />
L’Abdelmabi aveva più volte invitato il Barghalì a rientrare in Libia,<br />
ricevendone fermi dinieghi. Poco dopo le 14.00 allorchè stava per prendere<br />
congedo - così sintetizza la Corte d’Assise - il primo, giunto alla porta,<br />
s’era voltato di scatto, aveva estratto una pistola e dopo aver gridato<br />
“Gheddafi, Gheddafi!” aveva esploso tre colpi contro l’altro, ferendolo, con<br />
i primi due colpi alla testa e ai glutei, mancando il bersaglio, allorchè la<br />
vittima era già caduta a terra, al terzo. Abdelmabi dichiarava che dopo l’11<br />
giugno secondo il tribunale del popolo libico tutti i libici residenti all’estero<br />
avevano l’obbligo di rimpatriare; che egli aveva il compito di fare opera di<br />
convinzione in questo senso e in caso contrario di giustiziare i suoi<br />
connazionali; così come aveva fatto con Barghalì offrendogli dapprima il<br />
biglietto aereo e poi, al suo rifiuto, esplodendo contro di lui colpi di pistola.<br />
Aggiungeva di non aver avuto intenzione di uccidere il suo connazionale<br />
bensì solo di ferirlo; che aveva ricevuto ordini direttamente dalla Libia e di<br />
non aver preso contatti con alcuno a Roma; che compiuta la missione nei<br />
confronti di Barghalì, sarebbe rimasto a Roma e non avrebbe avuto difficoltà<br />
a giustiziare altre persone, se così gli fosse stato ordinato. Di fronte ad una<br />
parziale ritrattazione sulla motivazione del viaggio, ferma la conclusione<br />
della Corte sulla motivazione del gesto: “Non si trattò di un fatto<br />
determinato da motivazioni di ordine privato bensì da un’azione compiuta<br />
nell’ambito di un quadro ben preciso avente connotati strettamente<br />
politici...”. In tal senso l’esclamazione “Gheddafi, Gheddafi!” al momento di<br />
sparare; l’ostinato silenzio, come per consegna ricevuta, sulla provenienza<br />
dell’arma; il riferimento ad ordini ricevuti di portarsi in Italia e giustiziare i<br />
connazionali che non avessero aderito all’obbligo di rimpatriare;<br />
l’ammissione della sua appartenenza ad un’organizzazione rivoluzionaria<br />
dedita al terrorismo, che ha a vertice operativo i tribunali del popolo. In tal<br />
senso anche le conclusioni di PG, che riferivano, riesaminando quanto si è<br />
descritto nei paragrafi precedenti, del compimento in uno strettissimo<br />
periodo di tempo di una serie di analoghi attentati, a Roma e a Milano, tutti<br />
motivati identicamente, e cioè dalla pretesa di ricondurre in patria i<br />
recalcitranti. In tal senso le testimonianze della vittima e della sua compagna<br />
greca; il primo che riferisce che Abdelmabì aveva manifestato il proposito<br />
di uccidere altro connazionale di nome “Ouzdine”, che proprio il giorno del<br />
presunto attentato, fu ucciso a Milano - e su cui al paragrafo prossimo -; la<br />
seconda che riferisce sulla condizione di terrore in cui all’epoca vivevano i<br />
libici di Roma per effetto dei proclami gheddafiani e dell’attività dei suoi<br />
sicari. In tal senso infine gli spostamenti in Europa ed in Nord-Africa<br />
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