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messaggio 343 del 17.05.79 trasmesso dalla Presidenza Consiglio dei<br />
Ministri con foglio del 27.01.98)<br />
<strong>Il</strong> diario dell’Ambasciatore Tamagnini, che riassume con dovizia di<br />
particolari il drammatico periodo del passaggio dei poteri dalla monarchia<br />
dello Scià alla repubblica islamica di Khomeini, si rilevano anche le<br />
preoccupazioni della nostra comunità in quel Paese a seguito dei sanguinosi<br />
eventi che caratterizzarono quel trapasso. Tant’è che l’Ambasciatore nel<br />
dicembre 78 organizzò un piano di evacuazione, al quale collaborarono il<br />
colonnello Arpino - attuale <strong>Capo</strong> di Stato Maggiore della Difesa sul quale<br />
s’e è più volte scritto - ed il tenente colonnello Romano, all’epoca in forza<br />
alla 46 a Brigata Aerea di Pisa. In quei giorni giungeva a Teheran anche il<br />
colonnello Giovannone da Beirut. Evacuazione che inizierà con non poche<br />
difficoltà a mezzo di un C130 dell’AM. (v. “La caduta dello Scià - Diario<br />
dell’Ambasciatore italiano a Teheran (1978-1980) di Giulio Tamagnini -<br />
Edizioni Associate).<br />
E’ certo, pertanto, che l’Imam e i suoi accompagnatori non giunsero<br />
mai in Italia. Anzi v’è ragione di credere che essi mai hanno lasciato la<br />
Libia. E sul punto sono intervenute due provvedimenti che hanno entrambi<br />
archiviato il caso, affermando di poter escludere che l’Imam fosse mai<br />
giunto in Italia. <strong>Il</strong> primo in data 7 giugno 79, il secondo in data 28 gennaio<br />
82. Quest’ultimo traeva origine dalla riapertura del procedimento richiesto<br />
dai libici. Tale riapertura non fu gradita dalla comunità sciita libanese, che<br />
non mancò di segnalare le proprie critiche al nostro Ambasciatore in Libano.<br />
L’occasione venne a seguito della rogatoria in Libia del PM di Roma, il<br />
quale secondo le informazioni da essi acquisite - così si legge in un<br />
messaggio dell’Ambasciatore d’Italia a Beirut - dopo essere “entrato in<br />
contatto con testimoni presentatigli da Governo libico, sarebbe rientrato in<br />
Italia persuaso che l’Imam Mousa Sadr ed i suoi due compagni sarebbero<br />
effettivamente giunti a Roma”. La nota prosegue affermando che la<br />
circostanza non era stata “comunicata all’organizzazione sciita Amal per<br />
timore di reazione brutali ed incontrollabili da parte di quest’ultima nei<br />
confronti degli interessi italiani in Libano e sul nostro territorio nazionale”.<br />
Al punto 4 del messaggio l’Ambasciatore segnala il chiaro messaggio che la<br />
Direzione politica sciita ha inteso comunicargli: “La Direzione politica sciita<br />
ha voluto dunque farmi sapere che essa non è disposta ad accettare che un<br />
governo occidentale offra una soluzione a Gheddafi per il caso Mousa Sadr.<br />
Attira pertanto la nostra attenzione sulle conseguenze che tutti gli sciiti<br />
(politici, militari e terroristi) trarrebbero da eventuali “cedimenti” in tal<br />
senso”. Gli interlocutori libanesi spiegano anche i motivi della scomparsa<br />
“dovuta ad una volontà politica straniera volta a decapitare la direzione della<br />
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