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<strong>Il</strong> quarto attentato fu commesso a danni di Boujar Mohamed Fuad a<br />
soli dieci giorni dopo il terzo, e cioè il 20 maggio. L’omicidio fu compiuto<br />
all’interno della pensione Max in via Nazionale 46. La vittima fu uccisa con<br />
numerosi colpi di arma da punta e taglio al torace e al basso ventre e<br />
mediante strangolamento con corda di nylon.le Sul corpo dell’assassinato fu<br />
rinvenuto un tovagliolino di carta, su cui era scritto: “<strong>Il</strong> nome di Dio è<br />
grande, il 1° Settembre esiste. Chi scappa via dal Paese, i comitati popolari<br />
ti ritrovano ovunque. Viva il 1° Settembre e i comitati rivoluzionari libici in<br />
Roma”. Nonostante le convincenti argomentazioni del Pubblico Ministero<br />
che specie nei motivi di appello della prima sentenza assolutoria<br />
dell’imputato Abdelkader Alì Zedan per insufficienza di prove - l’ucciso era<br />
un fuoriuscito dalla Libia, il cui regime aveva requisito gran parte dei suoi<br />
averi; il Boujar si era rifugiato in Tunisia, ove aveva intrapreso attività<br />
commerciale di sicuro successo economico; il figlio di Boujar aveva<br />
disertato l’aviazione militare libica ove militava. Nella stanza ove era stato<br />
perpetrato l’omicidio, condivisa dalla vittima, il di lui figlio e l’imputato,<br />
mancavano i vestiti dell’Abdelkader. Costui subito dopo i fatti si era reso<br />
irreperibile, abbandonando l’Italia senza ragionevoli motivi. <strong>Il</strong> Boujar<br />
durante la sua breve permanenza a Roma aveva mostrato più volte<br />
sentimenti di preoccupazione per la propria incolumità personale. Uno dei<br />
mezzi adoperati per la complessa manovra omicida, cioè il legaccio, era<br />
stato acquistato due giorni prima dell’uccisione del Boujar proprio<br />
dall’Abdelkader senza alcuna plausibile od apparente ragione. Detto<br />
Abdelkader, deve da ultimo considerarsi, aveva proprio il pomeriggio del<br />
fatto appuntamento presso la Max con il Boujar - sosteneva che la venuta in<br />
Italia dell’ Abdelkader era una vera e propria missione di morte, che<br />
quell’omicidio era una delle tante “esecuzioni” perpetrate in quel periodo<br />
dal regime gheddafiano a danni degli oppositori fuoriusciti, che il biglietto in<br />
lingua araba inneggiante alla rivoluzione del colonnello Gheddafi, rinvenuto<br />
sul cadavere dell’ucciso, anzichè apparire quale maldestro tentativo di<br />
depistaggio, si presentava come firma indiscutibile dell’autore del delitto<br />
come della sua matrice “politica”; nonostante, si diceva, tali argomentazioni,<br />
la Corte d’Assise d’Appello confermava il proscioglimento dubitativo.<br />
<strong>Il</strong> quinto attentato fu commesso addirittura il giorno seguente a quello<br />
del quarto - segno dell’accelerarsi della progressione in prossimità della<br />
scadenza - a danni di Mohamed Salem Fezzan, ovviamente libico. Costui fu<br />
affrontato all’uscita del ristorante “El Andalus” sito in via Farini di cui era<br />
proprietaria la moglie, da un uomo armata spalleggiato da un secondo<br />
apparentemente senza armi in mano. Quegli che impugnava la pistola<br />
esplose alcuni colpi all’indirizzo del Fezzan; costui rientrò di corsa nel<br />
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