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Volume 2 (61 Mb) - Comune di Uggiate-Trevano

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864<br />

UGGIATE TREVANO UNA COMUNITÀ E LA SUA PIEVE<br />

comportasse per la comunità l’accoglienza del vescovo con il suo seguito,<br />

così che si capisce come mai negli atti delle prime visite si registrino<br />

talvolta lamentele, se non litigi, per definire il riparto proporzionale delle<br />

spese stesse tra i vari parroci della pieve. Si è ritenuto <strong>di</strong> inserire tra i documenti<br />

la trascrizione <strong>di</strong> quei conti, che svelano il trattamento riservato<br />

al vescovo e ai preti commensali, con cibi e leccornie <strong>di</strong> lusso, che a quei<br />

tempi sulla tavola dei poveri non comparivano se non in parte a Natale. È<br />

pure un bel documento <strong>di</strong> informazione merceologica.<br />

Ma torniamo sul quadro della vita religiosa intorno alla canonica. Il<br />

fatto che dal tempo <strong>di</strong> don Giovanni Riva in poi si siano avvicendati dei<br />

prevosti pastoralmente vali<strong>di</strong>, mise in risalto, quasi per contrasto,<br />

l’anacronismo dell’antico capitolo dei canonici. Gli stessi canonici, messi<br />

qui come inutili parassiti, sentivano la noia della vita <strong>di</strong> campagna, e sognavano<br />

<strong>di</strong> potersi trapiantare in città, dove c’era un po’ <strong>di</strong> mondo. Anzi,<br />

già nel 1742, durante la vacanza della prevostura per la morte <strong>di</strong> don Riva,<br />

inoltrarono a papa Benedetto XIV una supplica per trasferire il capitolo<br />

della collegiata da <strong>Uggiate</strong> «piccolissimo villaggio … composto <strong>di</strong><br />

pochissimo popolo tutto occupato nella cultura della campagna… » dove<br />

sarebbe bastato il servizio spirituale del prevosto, cui incombeva la cura<br />

delle anime; mentre i canonici erano costretti a vivere «oziosamente e miseramente»<br />

giacché per la povertà del luogo non si raccoglievano nemmeno<br />

le elemosine per la messa. Con il trasferimento in qualche chiesa<br />

della città, invece, «sarebbero proveduti li canonicati in sogetti idonei<br />

per dottrina e costume da prescegliersi fra molti citta<strong>di</strong>ni che concorrebbero<br />

anche del ceto nobile, quando al presente non si possono conferire<br />

che a sacerdoti e cherici <strong>di</strong>ocesani che si presentino per vivere in ozio e<br />

miseria in un solitario villaggio». 126<br />

Quando trapelò notizia <strong>di</strong> questi inten<strong>di</strong>menti tra la gente, i nobili conte<br />

Ippolito Turconi, marchese Gian Battista Raimon<strong>di</strong>, don Giuseppe Canarisi<br />

e don Mariano Odescalchi, in rappresentanza dei «compadroni» e<br />

come procuratori speciali delle comunità ed uomini <strong>di</strong> <strong>Uggiate</strong>, Gaggino,<br />

<strong>Trevano</strong> e Camnago, scrissero al vescovo, che era in quel momento Paolo<br />

Cernuschi, chiedendo <strong>di</strong> essere sentiti prima <strong>di</strong> lasciar passare qualsiasi<br />

decisione in merito a tale trasferimento. Anzi (e forse fu questo un atto<br />

suggerito dal vescovo), scrissero anch’essi al papa, per rappresentare le<br />

loro lagnanze nei confronti dei canonici e della loro condotta, oltre che<br />

per far presente che la loro proposta e richiesta <strong>di</strong> trasferire il capitolo in

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