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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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114 IAIN CHAMBERS<br />

Proprio per questa ragione non mi sento spinto ad ascoltare la<br />

musica di Hendrix in termini di nostalgia, o semplicemente registrandone<br />

il significato storico nella narrazione <strong>del</strong>la musica popolare,<br />

bensì a scorgere nel suo suono, nel suo acquisire la forma e il<br />

timbro nello stordimento culturale <strong>del</strong>la fine degli anni Sessanta,<br />

una serie di passaggi sonori e <strong>culturali</strong> che continuano a proiettare<br />

una risonanza, nonché una dissonanza, sia nel passato che in avanti,<br />

verso il mio presente, per iscriversi in futuri possibili.<br />

Pur proiettato all’indietro, verso le sue radici blues, si riteneva<br />

però al contempo che Hendrix avesse generato le schiere di chitarristi<br />

neofiti che sono venuti dopo di lui e che sciamavano per<br />

gli altipiani <strong>del</strong>la musica rock degli anni Settanta (da Jimmy Page<br />

dei Led Zeppelin a Eddie Van Halen), creando il genere di rottura<br />

<strong>del</strong>l’heavy metal. Tuttavia questo suono sperimentale, la sua<br />

forma libera e le tecniche estese elettronicamente (distorsione,<br />

feedback, risonanza, eco) sarebbero anch’esse divenute onnipresenti<br />

nelle musiche nere urbane: dal soul al jazz alle colonne sonore<br />

<strong>del</strong> cinema; da Sly Stone e Bobby Womack a Isaac Hayes, a<br />

Miles Davis, Ornette Coleman, Sonny Sharrock e James Blood<br />

Ulmer, e così via, passando per tributario di James Brown, a<br />

George Clinton e Bootsy Collins, a Prince e ai Living Colour. Se,<br />

dopo Hendrix, la musica rock bianca ha subito una radicale trasformazione,<br />

lo stesso si può dire <strong>del</strong> suono nero. Hendrix non<br />

era tanto una mina vagante nel <strong>mondo</strong> <strong>del</strong> rock bianco, quanto<br />

un complesso e traballante ponticello che mette in comunicazione<br />

opportunità nuove che prima viaggiavano in contesti <strong>culturali</strong> differenti<br />

e, in apparenza, <strong>del</strong> tutto separati.<br />

Ascoltare la sua musica in quest’ottica non mi consente soltanto<br />

di parlare di Jimi Hendrix negli ambiti, in apparenza distinti,<br />

<strong>del</strong>le musiche africano-americane e <strong>del</strong> rock bianco, ma anche di<br />

fare ritorno al tema <strong>del</strong>le culture urbane moderne e di mettere in<br />

discussione e rimo<strong>del</strong>lare l’estetica contemporanea. In questo modo<br />

acquisisco i mezzi per spezzare il cerchio chiuso <strong>del</strong>la caratterizzazione<br />

esotica (Hendrix il gitano nero, il “selvaggio” nomade),<br />

e di apprezzare al contempo la ricchezza <strong>del</strong> suo spirito musicale<br />

e culturale. In questo modo si estende la provocazione di Hendrix,<br />

che sfidava le autorità <strong>culturali</strong> esistenti su ambo i lati degli<br />

spartiacque <strong>culturali</strong>. L’ambiguità <strong>del</strong> talento musicale di Hendrix<br />

blocca e fa slittare la semplicistica applicazione <strong>del</strong>le contrapposi-

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