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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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234 IAIN CHAMBERS<br />

tradizione stabile e il progresso, tra l’essenza “autentica” e gli stili<br />

di vita “corrotti”. C’è piuttosto una rielaborazione in entrambi<br />

i termini <strong>del</strong>l’equazione, di modo che la tradizione stessa diviene<br />

un elemento di modifica, un “elemento di libertà” (Gadamer<br />

1965). Seppure sempre interrotta dalla modernità, la tradizione<br />

fornisce le risorse per interrompere e al contempo imporre alla<br />

modernità i suoi particolari imperativi. Nel film di Lee Tamahori<br />

sull’identità Maori contemporanea, Once Were Warriors – Una<br />

volta erano guerrieri (1994), due fratelli celebrano un passato<br />

Maori maschile: uno riappropriandosi dei rituali tradizionali dei<br />

guerrieri <strong>del</strong>l’isola, l’altro riscrivendo e riproducendo questi rituali<br />

nei tatuaggi (essi stessi simboli ereditati <strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong>l’Oceania)<br />

e nei riti di iniziazione di una subcultura urbana. In ambedue<br />

i casi, le storie coeve, la relazione sincretica, sono registrate<br />

fortemente sia nella sintassi locale che in quella globale. Tale<br />

effetto viene ulteriormente amplificato nella musica reggae, che<br />

imperversa per tutta la durata <strong>del</strong>la pellicola. In un ghetto urbano<br />

<strong>del</strong>la Nuova Zelanda, una musica di questo tipo è sia modernità<br />

che tradizione, riguarda sia le comunicazioni (e i capitali)<br />

trans-nazionali di massa che la maniera in cui un siffatto spazio,<br />

offerto dalla musica rock internazionale, diviene anche un luogo<br />

particolare: una scena <strong>del</strong>la memoria, <strong>del</strong> ricordo, in cui il suono<br />

caraibico dei non emancipati viene riprodotto nuovamente, ripetuto<br />

ed elaborato per avanzare un’altra promessa, sulle coste di<br />

un altro mare, in un altro emisfero.<br />

Torniamo adesso al romanzo Cerimonia di Leslie Silko e concludiamo.<br />

La cerimonia effettuata da Betonie, lo sciamano, è coerente<br />

con entrambe le tradizioni, eppure le ripudia: sia quella tribale<br />

che quella <strong>del</strong>la modernità occidentale. Le storie, le narrazioni<br />

che operano su entrambi i lati <strong>del</strong> presunto spartiacque, che<br />

tentano di legittimare i miti e i saperi rispettivi, sia quelli che portano<br />

il nome <strong>del</strong>l’arcaico che coloro che recano il nome <strong>del</strong> progresso,<br />

sono fatalmente incomplete. Da questo fatto scaturisce un<br />

interrogativo che si muove in entrambe le direzioni, turbando<br />

contemporaneamente le presunzioni sia <strong>del</strong> “tradizionale” che <strong>del</strong><br />

“moderno”. In entrambi i casi, emerge un’identità in cui non si<br />

garantisce più una relazione con la terra per mezzo <strong>del</strong> sangue,<br />

<strong>del</strong>la razza e <strong>del</strong> suolo, né <strong>del</strong>le pretese <strong>del</strong> possesso. Ormai è la<br />

storia, la narrazione, la maniera di raccontare che riafferma la me-

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