Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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SULLA SOGLIA 227<br />
allo stesso 1 . In questo caso, ciò che incontro rimane asservito ai<br />
concetti che rendono la mia casa riconoscibile come casa mia. Per<br />
evitare di costruire un ulteriore edificio liberale, ora decorato con<br />
tinte multi<strong>culturali</strong>, devo affrontare l’altro in quanto altro, “che<br />
supera l’idea <strong>del</strong>l’Altro in me” (Lévinas 1961, p. 48, corsivo nell’originale).<br />
Questo significa mischiare il mio tempo con un altro<br />
tempo, piegare il mio pensiero dinanzi la presenza di un altro, introdurre<br />
una dinamica che non posso possedere. Quell’eccesso è<br />
ciò che, trascinandomi al di là di me stesso, segnala la strada tra la<br />
totalità e l’infinito, tra ciò che è possibile possedere e dominare e<br />
ciò che mi interroga con la sua libertà. La voce <strong>del</strong>l’altro è “esiliata<br />
ai bordi <strong>del</strong> discorso [che] rifluirebbe e, con essa, il mormorio<br />
e i ‘rumori’ da cui si distingue la riproduzione scritturale. Così<br />
un’esteriorità senza inizio né verità tornerebbe a visitare il discorso”<br />
(de Certeau 1975, p. 257). Quest’apertura verso l’alterità, verso<br />
ciò che va oltre me, è un’apertura al desiderio, lontana dall’economia<br />
ristretta <strong>del</strong> pensiero; è il riconoscimento di ciò che eccede<br />
la comprensione neutrale <strong>del</strong>la verità e invoca qualcosa di<br />
più, qualcosa di diverso: un’infinità prodotta dal desiderio. Non<br />
un desiderio di possedere, bensì un desiderio di infinito che invece<br />
di essere appagato viene stimolato (Lévinas 1961, p. 48). Essendo<br />
stimolato e costretto a pensare al di là di me stesso e <strong>del</strong><br />
possesso <strong>del</strong>la storia, <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>l’identità che lo rende in-<br />
1 In Totalità e Infinito, Lévinas (1961) critica in toto l’oeuvre di Heidegger, non soltanto<br />
Essere e tempo, a causa di una conoscenza reificata <strong>del</strong>la libertà costantemente subordinata<br />
all’appropriazione <strong>del</strong>l’Essere che è in grado di riconoscere l’altro, e quindi la tematica<br />
<strong>del</strong>la giustizia, <strong>del</strong>l’etica, unicamente in termini <strong>del</strong> suo sé. Una tale riconciliazione tra<br />
“la libertà e l’obbedienza, nel concetto di verità, presuppone il primato <strong>del</strong> Medesimo nel<br />
quale vive abitualmente tutta la filosofia occidentale e dal quale essa è definita” (p. 43).<br />
Lévinas prosegue: “Filosofia <strong>del</strong> potere, l’ontologia, come filosofia prima che non mette<br />
in questione il Medesimo, è una filosofia <strong>del</strong>l’ingiustizia. L’ontologia heideggeriana che<br />
subordina il rapporto con Altri alla relazione con l’essere in generale – anche se si oppone<br />
alla passione tecnica, venuta dall’oblio <strong>del</strong>l’essere nascosto dall’ente – resta all’interno <strong>del</strong>la<br />
obbedienza <strong>del</strong>l’anonimo e porta, fatalmente, ad un’altra potenza, al dominio imperialista,<br />
alla tirannia. Tirannia che non è l’estensione pura e semplice <strong>del</strong>la tecnica e degli uomini<br />
deificati. Essa risale a degli ‘stati d’animo’ pagani, al radicamento nel suolo, all’adorazione<br />
che gli uomini ridotti in schiavitù potevano consacrare ai loro padroni” (pp. 44-45).<br />
Tuttavia, Lévinas stesso presta il fianco allo stesso tipo di obiezioni. Come osservano<br />
sia Elizabeth Grosz (1995b) che Simon Critchley (1991), l’evitamento di Lévinas <strong>del</strong>l’alterità<br />
femminile ne restringe il campo <strong>del</strong> pensiero a ciò che ha coerentemente tentato di<br />
evitare: l’economia <strong>del</strong>lo stesso.