Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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ESTRANEO IN CASA 179<br />
ci separano dal contatto col suolo e che caratterizzano il moto fisico<br />
come primitivo? Oppure c’è, all’interno di quella sequenza, una controtradizione,<br />
una modalità <strong>del</strong>l’errare che segna il terreno? Pallade<br />
Atena potrà mai prendere il controllo <strong>del</strong>la tempesta? (p. 336).<br />
In questa prospettiva sbalzata, l’oggetto <strong>del</strong> mio sguardo, l’oggetto<br />
<strong>del</strong> mio linguaggio, l’estraneo silenzioso, l’emigrante muto,<br />
diviene un soggetto storico, che non solo risponde e quindi non<br />
esiste limitatamente al mio discorso, alle mie parole e al mio <strong>mondo</strong>,<br />
ma offre altresì un significato che non mi appartiene necessariamente,<br />
e nemmeno riconosce le mie pretese sul suo senso. In<br />
questa ricusazione <strong>del</strong>la distinzione soggetto-oggetto, avviene sia<br />
che la padronanza <strong>del</strong> linguaggio venga messa in discussione, sia<br />
che la distanza critica, che fornisce ospitalità alla mia sicurezza<br />
ontologica, si disperda e si elimini. Se si scopre che il <strong>mondo</strong> che<br />
nomino non mi appartiene, non soggiace al mio controllo, allora<br />
il movimento da casa e dall’ambiente domestico verso un ambiente<br />
estraneo in cui, come dice Edmond Jabès, viaggio ora come<br />
ospite, non dipende dalla mia volontà, bensì dall’ospitalità <strong>del</strong> linguaggio.<br />
Questo altro luogo, questa alterità, non è soggetta ai miei<br />
imperativi, non mi nutre e non alimenta il mio ego. Non fornisce<br />
più la strada per fare ritorno attraverso l’altro. Sostiene Emmanuel<br />
Lévinas (1961, p. 37)<br />
Né il possesso né l’unità <strong>del</strong> piano, né l’unità <strong>del</strong> concetto, possono<br />
legarmi allo Straniero [l’Étranger] (…) lo Straniero che viene a turbare<br />
la mia casa [le chez soi]. Ma Straniero significa anche il libero.<br />
Su di lui non posso potere. Sfugge alla mia presa per un fatto essenziale,<br />
anche se dispongo di lui. Non è interamente nel mio luogo.<br />
Il problema <strong>del</strong>l’altro è sempre il problema <strong>del</strong>l’estraneo, <strong>del</strong>l’outsider,<br />
di chi viene da un altro luogo e inevitabilmente reca il<br />
messaggio di un movimento che minaccia di perturbare la stabilità<br />
<strong>del</strong>l’ambiente domestico. Ciò che cerchiamo di tenere a debita<br />
distanza viene reso vicino, l’esterno (per il quale in passato si<br />
costruivano le mura, e oggi si emanano le leggi) diviene interno,<br />
ineluttabile. Nello scambio ontologico, il mio senso <strong>del</strong>l’essenza si<br />
ritrova ad affrontare un interrogativo, viene reso vulnerabile. Riconoscere<br />
questo stato invece che negarlo, sottometterlo o annientarlo<br />
significa porre non soltanto il problema <strong>del</strong>la tolleranza