Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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CORNICI TERRESTRI 67<br />
un divenire che riafferma (e qui il tono critico, sia di Bhabha che<br />
<strong>del</strong>la Butler, nonché dei loro antesignani foucaultiani, certamente<br />
giustifica l’adozione di una tonalità heideggeriana) l’essere gettato<br />
in un <strong>mondo</strong> che “si rivela non essere pienamente tuo” (Thiele<br />
1995, p. 177). Cercare di sentirsi a casa in un <strong>mondo</strong> ambiguo, arcano,<br />
non nostro, ci porta verso la libertà potenziale che scaturisce<br />
dalla comprensione dei propri limiti.<br />
Pertanto, gli incessanti interrogativi contenuti nella poesia di<br />
Adrienne Rich (1991) intitolata Eastern War Time, che vengono<br />
narrati drammaticamente dal punto di vista <strong>del</strong>l’Olocausto e degli<br />
ebrei, possono e debbono essere interpretati anche come un invito<br />
a penetrare in una dimensione <strong>del</strong>la memoria (nonché <strong>del</strong>l’identità)<br />
in quanto spazio privo di tutela nel quale costruiamo la<br />
nostra casa. La memoria è ciò che rammenta continuamente che<br />
ci troviamo “sulla terra e sotto al cielo”, che ci ricorda la condizione<br />
di ritrovarci nel <strong>mondo</strong> privi di protezione. La memoria rivela<br />
questa dimensione, rifiutandosi di soddisfare il nostro desiderio<br />
di chiarezza soggettiva e di eternità temporale di una verità<br />
immutabile, perché quando parla, la memoria ci dice:<br />
Non è possibile ripristinarmi o inquadrarmi<br />
Non posso restare ferma – Sono qui<br />
nel tuo specchio – fianco a fianco con te<br />
Impicciona impertinente aspra balenante<br />
di ciò che mi rende impossibile da uccidere, anche se uccisa (Rich<br />
1991, p. 43).<br />
Tutti vivono la memoria, eppure nessuno la possiede. La memoria<br />
non risiede semplicemente nelle nostre tradizioni, nei nostri<br />
rituali, nei nostri costumi, nei nostri corpi, nelle nostre istituzioni<br />
e nei nostri monumenti, e nemmeno nel profondo di noi<br />
stessi e <strong>del</strong>l’inconscio individuale. Questo sito di essenza concentrata<br />
è la sostanza storica <strong>del</strong> nostro ambiente terreno.<br />
Ecco che forze al di là <strong>del</strong>la strumentalità immediata <strong>del</strong> <strong>mondo</strong><br />
profferiscono parole e mi instradano verso l’altro lato <strong>del</strong> linguaggio.<br />
Vengo diretto verso l’insistenza tacita <strong>del</strong> terrestre e la<br />
presenza di un altro, e questo alimenta un pensiero che non è<br />
ostile né all’ascolto, né all’accettazione dei limiti. Mi ritrovo nuovamente<br />
sull’orlo <strong>del</strong> vuoto ontologico tra la rassicurazione <strong>del</strong>l’i-