Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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CORNICI TERRESTRI 73<br />
Ascoltare questo aspetto <strong>del</strong> linguaggio vuole dire trasgredire<br />
al rigido sistema <strong>del</strong>la logica, nel quale ci troviamo apparentemente<br />
fissati. Significa evocare una risposta storica che si esprime<br />
in termini che non possono essere circoscritti a una sola epoca in<br />
particolare. Le generazioni trapassate scalpitano e incalzano. Parlare<br />
significa sempre parlare sulla scia <strong>del</strong> linguaggio. Il linguaggio<br />
registra e parla di questa quiescenza. In questo intervallo si profila<br />
la nostra casa. Il linguaggio fornisce il riparo e, in quanto poesia,<br />
musica, musa, memoria, canta “l’accordo, sempre lo stesso,<br />
sempre cangiante, che in ogni istante attraversa l’essere-nel-<strong>mondo</strong><br />
nella sua interezza, modulando la differenza tra cose e <strong>mondo</strong>,<br />
tra Terra e <strong>mondo</strong>” (Harr 1993, p. 114). Nell’apertura <strong>del</strong> linguaggio<br />
mi imbatto nella fragranza di ciò che non potrò mai afferrare<br />
appieno: l’imperscrutabile cuore <strong>del</strong>l’abitare “la casa <strong>del</strong><br />
<strong>mondo</strong> sulla Terra e sotto al cielo” (Heidegger, citato in Harr<br />
1993, p. 115). È qui che si colloca l’etica.<br />
Questo arrivo imprevisto e inatteso riporta la storia ad ascoltare<br />
quell’aspetto <strong>del</strong>la narrazione, spesso tacito, o forse percepito<br />
come mormorio incomprensibile, che riceve e riconosce l’altro.<br />
L’estensione <strong>del</strong>la “mia” storia a un’altra equivale ad accettare<br />
questa integrazione nei suoi termini irruenti. È lì che l’astrazione<br />
<strong>del</strong>l’alterità viene resa vitale, concreta, e la mia narrazione<br />
temporale viene resa responsabile. Ciò significa far affrontare alla<br />
tradizione ciò che non è in grado di contenere, perché l’ospite<br />
è chiaramente l’ambasciatore <strong>del</strong>le “ambiguità <strong>del</strong>la traduzione”<br />
(Clifford 1988, pp. 45-46). Una storia che si espone prevedendo<br />
un simile arrivo è una storia <strong>del</strong>l’interruzione introdotta dall’estraneo,<br />
dall’altro. Si tratta di una storia di passaggio e di traduzione,<br />
nella quale la continuità <strong>del</strong> regime <strong>del</strong>la rappresentazione,<br />
mediante il quale comprendo il “politico”, la tradizione e la<br />
democrazia, la cittadinanza e lo Stato, i limiti e la legge, viene posta<br />
in un punto critico e privo di garanzie (Derrida 1996). L’altro<br />
introduce l’altro aspetto <strong>del</strong>la politica, oppure un’altra politica:<br />
l’aspetto represso <strong>del</strong>la mia rappresentazione. In questo discorso,<br />
in questa precisa situazione storica, culturale e politica, si insinua<br />
il fatto che non esiste più l’altro per me, ma soltanto l’altro accanto<br />
e al di là di me.<br />
Ecco, questa è la “tragedia” <strong>del</strong>l’ascolto, contrapposta al rilassamento<br />
<strong>del</strong>la prospettiva chiusa, ed è proprio questo che, come