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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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ARCHITETTURA, AMNESIA E IL RITORNO DELL’ARCAICO 159<br />

moti <strong>del</strong>la produzione trans-nazionale, nelle piantagioni di caffè<br />

<strong>del</strong>l’America Latina, nelle fabbriche tessili <strong>del</strong>l’Indonesia, nelle<br />

catene di montaggio di microchip a Singapore. In quest’economia,<br />

Napoli e Irvine sono effettivamente più vicine di quanto potrebbe<br />

inizialmente sembrare a una prima occhiata. Entrambe esistono<br />

sullo stesso piano, forniscono soluzioni storicamente diverse<br />

in un’ontologia occidentale condivisa in cui l’architettura <strong>del</strong>l’accumulo<br />

sedentario, pianificato è sia costante che centrale. Entrambe<br />

sono città per cui l’imperialismo europeo ieri e il neocolonialismo<br />

oggi sono stati centri focali <strong>del</strong>lo sviluppo. La città contemporanea,<br />

che sia un insediamento storico sedimentato come<br />

Napoli o un modulo flessibile e orizzontale come Irvine, continua<br />

a schiudere e contemporaneamente a offuscare queste coordinate<br />

mentre vengono concentrate nel suo linguaggio, nei suoi edifici,<br />

nella sua prassi e nel suo stile quotidiani, nella sua sicura occupazione<br />

<strong>del</strong>lo spazio.<br />

Se per Le Corbusier le case sono macchine in cui vivere, Heidegger<br />

(1950a, p. 72) ci ricorda che “la tecnica meccanica è il primo<br />

frutto <strong>del</strong>l’essenza <strong>del</strong>la tecnica moderna, che fa tutt’uno con<br />

l’essenza <strong>del</strong>la metafisica moderna”. Come schema, progetto e desiderio<br />

strumentale, l’architettura opera una mediazione tra la trasmissione<br />

<strong>del</strong>l’intenzione e la realizzazione e l’utilità, nonché la finalità<br />

culturale e l’iscrizione storica. In quanto tale, si ritrova intrappolata<br />

nella pulsione di ridurre la contingenza terrestre alla<br />

logica causale e controllabile di un linguaggio trasparente in cui il<br />

“politico” e il “sociale” vengono assorbiti pienamente in un regime<br />

mondano <strong>del</strong> razionalismo, che oggi si traduce sempre più<br />

nella neutralità, in apparenza leggera, <strong>del</strong>l’“informazione”.<br />

Ci sono però dei limiti che circoscrivono le proiezioni di questi<br />

futuri, tanto quello <strong>del</strong>la trascendenza promessa dalla tecnologia<br />

che la sospensione relativa <strong>del</strong>l’educazione civica urbana e <strong>del</strong> conseguente<br />

ottundimento <strong>del</strong>la scelta politica. Mentre la California<br />

meridionale fa parte dei nostri futuri, non è necessariamente il futuro,<br />

perché, e qui riecheggiano Martin Heidegger e Richard Sennett,<br />

il luogo non è semplicemente il prodotto <strong>del</strong>l’elaborazione<br />

globale. Nel suo celebre saggio chiamato Costruire, Abitare, Pensare<br />

(1954b), il filosofo tedesco scrive: “gli spazi ricevono la loro essenza<br />

non dallo spazio, ma dai luoghi” (p. 103). Lo spazio è una<br />

produzione sociale, ci ricorda Henri Lefebvre, avrà sempre una

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