Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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SULLA SOGLIA 215<br />
getto” nei confronti di un “oggetto”. Questo differire e deferire<br />
<strong>del</strong>la logica filosofica è altresì uno slittamento, un moto di allontanamento<br />
dal linguaggio dispotico <strong>del</strong> centro nel quale le illusioni<br />
soggettiviste <strong>del</strong>l’umanesimo mi avevano collocato. Questo<br />
perché implica l’abbandono di quella metafisica che propone<br />
“un’interpretazione già stabilita <strong>del</strong>la natura, <strong>del</strong>la storia, <strong>del</strong><br />
<strong>mondo</strong>, <strong>del</strong> fondamento <strong>del</strong> <strong>mondo</strong>, cioè <strong>del</strong>l’ente nella sua totalità”<br />
(Heidegger 1946, p. 275).<br />
In un linguaggio soggetto alla possibile interferenza di una risposta,<br />
ciò che sostiene il discorso è il silenzio. Il silenzio avviluppa<br />
continuamente il linguaggio. Il silenzio oppone resistenza alla<br />
comprensione puramente razionale <strong>del</strong> linguaggio, dato che alimenta<br />
le ombre che mettono in discussione e frustrano la logica<br />
che l’interesse strumentale vorrebbe imporre. I significanti slittano<br />
via nella significazione fluttuante, il linguaggio si fa opaco, si<br />
ripropone il mistero, perché il silenzio non è sinonimo <strong>del</strong> nulla: è<br />
una domanda sita nell’intreccio <strong>del</strong> linguaggio. Il silenzio è il ponte<br />
tra il respiro, il suono e l’espressione, è la sonorità che rende<br />
possibile all’essenza <strong>del</strong> linguaggio di distinguersi (Sciacca, citato<br />
in Corradi Fiumani 1985, p. 136; si veda inoltre Luce Irigaray<br />
1983). Il silenzio non è residuale, è essenziale. Naturalmente,<br />
istintivamente ci distraiamo dall’attesa che accompagna la risposta,<br />
perché la “tragedia” <strong>del</strong>l’ascolto, contrapposta alla comodità<br />
<strong>del</strong>la prospettiva circoscritta, è, per citare nuovamente le parole<br />
di Edmond Jabès, che esso apre una relazione con l’infinito, l’impensato,<br />
che propone una misura <strong>del</strong> silenzio per mezzo <strong>del</strong>l’ignoto<br />
e <strong>del</strong>l’imperscrutabile (Jabès, citato in Buci-Glucksmann<br />
1992, pp. 179-180). Questo ci porta vicini alla suggestiva asserzione<br />
dei sacerdoti <strong>del</strong>le colline Matopos <strong>del</strong>lo Zimbabwe: “Dio è il<br />
Linguaggio” (Ranger 1996, p. 158).<br />
Tutto ciò comporta una perdita di egocentrismo che può<br />
produrre un inatteso beneficio di natura etica 1 . Si tratta però anche<br />
di un passaggio di vulnerabilità estrema: una strada <strong>del</strong>icata<br />
1 Si tratta altresì di un passaggio che può portare al chiuso narcisismo di un’interminabile<br />
malinconia, alle ambiguità <strong>del</strong>la nostalgia che va alla ricerca in un passato immaginato<br />
di un futuro migliore, oppure al lutto che contrassegna il termine di una certa storia<br />
e l’apertura verso un’altra. Sia la malinconia che il lutto rimangono pervicacemente sospesi<br />
nelle ambiguità <strong>del</strong> ritorno contemporaneo <strong>del</strong> Barocco. Un’interessante discussione di<br />
questi termini è contenuta in Wheeler 1995.