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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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30 IAIN CHAMBERS<br />

rante questo processo divennero Navaho e Apache. Nell’Africa<br />

meridionale, all’inizio <strong>del</strong> diciannovesimo secolo, ebbe luogo il<br />

movimento degli Ndebele che passarono dal Natal nello Zimbabwe<br />

meridionale (probabilmente a causa <strong>del</strong>lo schiavismo sulle<br />

coste <strong>del</strong> Mozambico), esercitando una pressione militare e territoriale<br />

sugli Shona e sui San di quella zona, prima che i coloni angloboeri<br />

usurpassero direttamente quel territorio. La terra come<br />

punto di origine mitico, come costante orizzonte <strong>del</strong>l’identità e testimonianza<br />

<strong>del</strong>la tradizione non è mai, malgrado le apparenze,<br />

senza tempo. Viene coltivata dal linguaggio e, se trasformata dal<br />

mito in un riferimento costante, non è esente da una nuova iscrizione,<br />

una nuova narrazione (Ranger 1996) 1 . Si insiste sulla natura<br />

storica <strong>del</strong>l’“arcaico”, introducendo una temporalità che turba le<br />

asserzioni occidentali unilaterali <strong>del</strong> “progresso” e <strong>del</strong>la sua storiografia,<br />

ma che, nondimeno, rimane una temporalità che registra<br />

l’entità storica e la trasformazione culturale in termini propri.<br />

È possibile che il mantenimento <strong>del</strong>la distanza temporale e<br />

culturale, sia per mezzo <strong>del</strong>la razionalità strumentale che <strong>del</strong>la<br />

sicurezza trascendentale <strong>del</strong>lo storicismo, venga messo in crisi, e<br />

non solo dalle prove storiche, ma anche dalle tracce contemporanee<br />

<strong>del</strong>l’arcaico, annunciato nel passaggio umano inciso su<br />

una parete di roccia, in una narrazione geroglifica il cui mistero<br />

e la cui magia resistono agli imperativi <strong>del</strong>la teleologia e alla trasparenza<br />

strumentale (Garlake 1995). In presenza di un altro<br />

linguaggio, e <strong>del</strong>le forme di conoscenza a esso relative, scaturisce<br />

un dinamismo insospettato che devia la netta distinzione tra<br />

l’universo verosimilmente naturale e statico <strong>del</strong> “primitivo” dal<br />

movimento culturale perenne <strong>del</strong> “moderno”. Una linearità logocentrica<br />

che insiste sul passaggio dal preistorico allo storico,<br />

dalla natura alla cultura, dall’oralità alla scrittura, si dissolve in<br />

qualcosa di meno rassicurante (Carchia 1982, p. 177). Questo<br />

perché se la scrittura penetra nell’arcaico, distruggendo tutte le<br />

illusioni di ripristinare il <strong>mondo</strong> “così com’era”, l’arcaico si ripropone<br />

per assumere altresì il ruolo di esempio contempora-<br />

1 Il medesimo autore analizza altresì la stratificazione multipla <strong>del</strong>le culture e dei poteri,<br />

che risulta nella mutabilità <strong>del</strong> paesaggio e nel passaggio storico <strong>del</strong>la prospettiva, in<br />

Ranger 1999.

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