Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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168 IAIN CHAMBERS<br />
zioni individuali circoscritte dalla responsabilità teorica (e dai costi)<br />
di edifici domestici come quelli proposti, per esempio, dall’architetto<br />
australiano contemporaneo Glenn Murcutt, e le soluzioni<br />
standardizzate che prestano attenzione alla storia <strong>del</strong> luogo. Tra le<br />
opere di Murcutt si distingue la famosa casa Marika-Alderton<br />
(1991-1994) nella comunità di Yirrkala nei Territori Settentrionali:<br />
una reinterpretazione <strong>del</strong>lo stile aborigeno <strong>del</strong> rifugio proposta<br />
come alternativa al bungalow governativo standard (Flora, Giardiniello,<br />
Postiglione, a cura, 1999). Qui, per quanto si stia sempre<br />
parlando di una soluzione su misura, non collettiva, non si esclude<br />
la possibilità che quest’ultima venga a essere eticamente ed effettivamente<br />
influenzata dalla prima.<br />
A questo punto, sarebbe possibile chiedersi se gli architetti<br />
siano le vittime o gli esecutori <strong>del</strong> capitale globale e dei suoi<br />
teatri locali <strong>del</strong> potere. I commenti di cui sopra sulla locuzione<br />
storica e sui limiti <strong>del</strong>la volontà architettonica occidentale (ora<br />
trasposta negli skyline di tutto il <strong>mondo</strong>, da Siviglia a Sydney a<br />
Shanghai) vogliono proporre per gli architetti il ruolo di mediatori,<br />
che esercitano il loro potere di riflettere e di deflettere le<br />
relazioni strutturali in cui loro, le loro pratiche e noi veniamo<br />
catturati. L’architettura, come ambito <strong>del</strong>l’opera critica, non è<br />
soltanto il luogo in cui si visualizzano e progettano edifici e<br />
città, ma è anche il luogo dove diviene possibile ascoltare ciò<br />
che i protocolli <strong>del</strong>la professione tendono a passare sotto silenzio<br />
o a reprimere nella sua economia politica di razionalizzazione<br />
<strong>del</strong>lo spazio.<br />
L’architettura si sviluppa necessariamente a partire da un punto<br />
di vista che, a prescindere dal grado di liberalità e pluralismo<br />
<strong>del</strong>le sue intenzioni, è destinato ad attrarre tutto ciò che incontra<br />
nella logica <strong>del</strong> suo piano. Non solo è unilaterale nella sua astrazione<br />
(come si traccia o progetta il contingente e il trasgressivo?),<br />
ma richiede altresì una chiusa arbitraria, un’omogeneizzazione<br />
<strong>del</strong>la visione, se deve passare da un tavolo da disegno al luogo<br />
<strong>del</strong>la costruzione, all’edificio abitato e all’edificazione <strong>del</strong>lo spazio.<br />
È vero che, nella città di tutti i giorni, nella mobilità <strong>del</strong>la vita<br />
quotidiana, le cose non vanno tanto lisce: i detriti lasciati dalle altre<br />
storie e dalle altre maniere di abitare lo spazio urbano possono<br />
lasciare il loro segno sui muri, i loro ripari di cartone nel parco, le<br />
loro ombre distese sui marciapiedi, o concentrare altrove la diffe-