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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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QUESTIONE DI STORIA 41<br />

le proprie logiche nel mio linguaggio, ecco che vengo trascinato<br />

oltre gli schemi (e i poteri) di quella precedente immagine <strong>del</strong><br />

<strong>mondo</strong>. Qui, ai limiti <strong>del</strong>l’Umanesimo occidentale, mi viene chiesto<br />

di considerare la mia “casa” non più come una struttura fissa,<br />

con radici che affondano saldamente nelle premesse epistemiche<br />

basate sulla lealtà logica e sulle istituzioni <strong>del</strong>la tradizione nazionale,<br />

bensì come un transito contingente, una via che, letteralmente,<br />

mi conduce altrove. A questo punto, essere post-umanista<br />

non significa rinunciare all’umano: al contrario, annuncia qualcosa<br />

che è più umano precisamente attraverso il suo tentativo di<br />

uscire dagli astratti confini e controlli di un soggetto universale<br />

che crede che tutto abbia inizio e fine in se stesso.<br />

Accettare l’idea <strong>del</strong> post-umanesimo vuol dire registrare dei limiti,<br />

iscritti a livello locale <strong>del</strong> corpo, <strong>del</strong>la storia, <strong>del</strong> potere e <strong>del</strong>la<br />

conoscenza che parla. Proprio qui, entro questi precisi confini<br />

storici, mi trovo a dialogare nella vicinanza <strong>del</strong>l’altro che rifiuta di<br />

essere “altro” rispetto a me, ossia, rifiuta di mantenere le distanze,<br />

come oggetto dipendente dei miei desideri e <strong>del</strong> mio potere.<br />

Donna Haraway (1991) suggerisce che proprio negli estremi <strong>del</strong><br />

cyborg, in questa cifra priva di storia, io vengo invitato nel modo<br />

più duro a contemplare questa possibilità. Nella commistione e<br />

contaminazione <strong>del</strong>l’umano e <strong>del</strong>la macchina, nell’estensione simultanea<br />

di me stesso e <strong>del</strong>la mia agognata separazione dallo stratagemma<br />

strumentale, nel misto di organico e inorganico, la mia autonomia<br />

soggettiva, mentale e fisica viene messa in discussione. Mi<br />

viene rivolto l’invito a entrare in quel passaggio tra pericolo e salvezza,<br />

per citare la nota definizione di Heidegger <strong>del</strong>la tecnologia,<br />

per pensare e procedere in maniera diversa.<br />

Ma allora, qual è il senso di questo momento storico e globale,<br />

allorché gli oggetti <strong>del</strong> mio sguardo, <strong>del</strong> mio linguaggio, chiedono<br />

maggiore… riconoscimento, attenzione, giustizia, libertà, e mi<br />

gettano in uno stato in cui sono chiamato a riflettere sui limiti, sui<br />

miei limiti, sui limiti di una visione che si credeva capace di afferrare<br />

e comprendere ogni cosa? E quindi, come posso acquisire un<br />

senso e una direzione da questa interruzione che mi offre una<br />

prospettiva che si spinge al di là di me? Questo tipo di interrogativo<br />

può servire, soprattutto, a sciogliere il nodo tradizionale che<br />

ha legato indissolubilmente sangue e terra nelle disquisizioni sull’identità.<br />

L’annuncio <strong>del</strong>l’altro manda in mille pezzi la presunta

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