Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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56 IAIN CHAMBERS<br />
rappresentato), certamente una storiografia critica non può più<br />
rifuggire dal confronto con la disposizione <strong>del</strong> linguaggio e la<br />
rappresentazione in cui la storia e le sue spiegazioni fanno la loro<br />
comparsa. Imprigionato nel linguaggio <strong>del</strong> tempo, e nel tempo<br />
<strong>del</strong> linguaggio, non c’è alcun passato di per sé, c’è solamente<br />
il passaggio <strong>del</strong> presente eternamente aperto alla ricontestualizzazione<br />
che si attua interrogando il passato: sia il passato che<br />
viene interrogato che quello che interroga.<br />
Quanto detto significa che il passato non può né essere cancellato,<br />
né tanto meno negato. Anzi, riconoscendo che le procedure<br />
<strong>del</strong> ricordo e i regimi di rappresentazione sono l’unico modo<br />
in cui possiamo accedere al passaggio <strong>del</strong> tempo, il passato<br />
rimane il passato. È possibile rivisitarlo e riscriverlo in chiave di<br />
un realismo limitato e contestato, ma il suo ritorno può anche<br />
sfidare il rappresentabile e l’incommensurabile. La rappresentazione<br />
ha dei limiti, come dimostra drammaticamente, per esempio,<br />
l’Olocausto, la Shoah (Friendlander, a cura, 1992). La ragione<br />
non è in grado di afferrare in maniera esaustiva, o di registrare<br />
nella sua interezza, quell’evento storico – sia in termini di genocidio<br />
istituzionalizzato col benestare <strong>del</strong>lo Stato o come burocrazia<br />
indolente e banalità quotidiana <strong>del</strong> male – quando esso<br />
sia esposto sotto forma di cifre astronomiche e terrore indicibile.<br />
Nell’incommensurabilità estrema tra l’evento e i significati<br />
successivi, l’Olocausto supera e frantuma i precedenti punti di<br />
riferimento (Lyotard 1983, pp. 81-83). Eppure, da questo punto<br />
di vista l’Olocausto non è più necessariamente un’eccezione unica,<br />
bensì un evento storico moderno di portata colossale che<br />
getta un’ombra raggelante sui limiti <strong>del</strong>la ragione occidentale<br />
nel divulgare e spiegare le forze <strong>del</strong> <strong>mondo</strong> che apparentemente<br />
ha generato. Alla scioccante unicità <strong>del</strong>l’Olocausto è da aggiungere<br />
ciò che rivela come evento specifico nella formazione e nella<br />
realizzazione <strong>del</strong>la stessa modernità 1 . Ciò nondimeno, registrare<br />
i limiti <strong>del</strong>la ragione non significa consolidare il rifiuto a<br />
pensare, nemmeno a pensare all’impensabile. Registrare i limiti<br />
<strong>del</strong>la ragione è quantomeno interrogare il razionalismo stesso<br />
che la modernità dovrebbe incarnare, e di qui incrociarne le ri-<br />
1 Per una dettagliata disquisizione sulle implicazioni <strong>del</strong>l’“unicità” <strong>del</strong>l’Olocausto, si<br />
veda Brecher 1999.