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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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202 IAIN CHAMBERS<br />

di tutte le necessità umane – la vita – il mio tempo e il mio spazio<br />

si interrompono bruscamente: vengono messi in discussione da<br />

una presenza che non ha nulla di mio. Mentre mi allontano in<br />

macchina sotto un cielo che ci sovrasta tutti, questa spaccatura<br />

che taglia la traiettoria <strong>del</strong> mio percorso, questa piega nella carta<br />

geografica, mi trascina al di fuori di me stesso. Viaggio attraverso<br />

una fessura nel mio tempo, un vuoto nei concetti di identità e posizione,<br />

tentando di estrarre dai miei limiti le possibilità di nuove<br />

partenze.<br />

Sull’orlo <strong>del</strong>la cornice<br />

A una mostra tenutasi a Houston nel 1995, intitolata Cultural<br />

Baggage (Bagaglio culturale) e organizzata nell’ambito di un simposio<br />

su House, Home, Homeland (Casa, abitazione, patria), mi<br />

imbattei in due opere che mi hanno aiutato a localizzare il punto<br />

di partenza <strong>del</strong> mio pensiero in questa fase <strong>del</strong>la mia vita 1 . La prima<br />

è The South/Missing (Il Sud/Assente 1993) di Silvia Malagrino,<br />

l’altra è Re:Locations (Ri: Posizioni, 1995) di Monica Chau.<br />

Nel trittico <strong>del</strong>la Malagrino vediamo fotografie di volti appena visibili:<br />

si tratta dei visi, <strong>del</strong>le identità di chi generalmente viene dimenticato<br />

dalle statistiche <strong>del</strong>l’immigrazione illegale e nei rapporti<br />

<strong>del</strong>le pattuglie di frontiera. Si tratta di foto che svaniscono, accartocciate<br />

nel tempo, eppure le loro tracce rimangono impresse<br />

in maniera in<strong>del</strong>ebile nella gelatina argentea <strong>del</strong>la stampa, come<br />

fossero spettri che rifiutano di scomparire. Continuano a occupare<br />

la scena, gettando l’ombra di un altro <strong>mondo</strong> che si ripropone<br />

per sfondare e increspare le superfici lisce di una coerenza desiderata.<br />

Nella serie di fotografie digitali di Monica Chau, si incontra<br />

la testimonianza <strong>del</strong>la sovrapposizione di immagini di un’epoca<br />

precedente su un paesaggio desolato che riconfigura lo spazio in<br />

un luogo storico particolare. Le figure che vediamo sono quelle di<br />

cittadini statunitensi di origine giapponese che nell’aprile <strong>del</strong><br />

1942 furono rinchiusi in campi di concentramento come quello di<br />

1 House, Home, Homeland: A Media <strong>Studi</strong>es Symposium on Exile, Rice University,<br />

Houston (Tex), 26-29 ottobre 1995. L’evento in questione ha dato il via a queste riflessioni.<br />

Vorrei approfittare di questa occasione per ringraziare Hamid Naficy per avermi invitato<br />

a prenderevi parte.

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