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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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ARCHITETTURA, AMNESIA E IL RITORNO DELL’ARCAICO 171<br />

zione dei luoghi (Unwin 1997). A questo punto, gli architetti potrebbero<br />

essere visti come mediatori tra l’ordine, la disciplina<br />

che incarnano e il dis-ordine e il <strong>mondo</strong> extra-disciplinare cui<br />

tentano di dar casa e sistemazione. Vorrebbe dire suggerire, in<br />

particolare nella cultura eccessivamente determinata, pragmatica,<br />

anglosassone, che gli architetti operano, consapevoli o meno, con<br />

un programma “intellettuale” ed etico.<br />

In questa visione radicalmente diversa <strong>del</strong>la tradizione, la<br />

particolare osservazione architettonica di una disciplina e <strong>del</strong>la<br />

tradizione che, per esempio, auspica ardentemente l’architetto<br />

italiano Vittorio Gregotti (1999), non può più essere considerata<br />

con compiacenza il luogo di una continuità referenziale,<br />

circoscritta da contorni storici, geografici e politici precisi. Diventa<br />

piuttosto un esempio di traduzione e transito. Chiaramente,<br />

fare appello alla tradizione significa fare appello a un<br />

contesto culturale specifico e alla spazialità storica nella realizzazione<br />

<strong>del</strong> piano. Ma se si cerca un dialogo coi presupposti<br />

<strong>del</strong>l’edificio, l’edificio che ne deriva viene costruito secondo linee<br />

radicalmente diverse da quelle associate unicamente alla<br />

conservazione <strong>del</strong>la continuità. Una differenza effettiva scaturisce<br />

dal linguaggio utilizzato nell’appropriazione <strong>del</strong>lo spazio<br />

e nella sua trasformazione in un’identità specifica. Quando la<br />

sintassi utilizzata nell’articolazione <strong>del</strong> progetto architettonico<br />

viene considerata cristallina, di modo che la ragione si manifesta<br />

direttamente nella costruzione, allora ne scaturisce un edificio<br />

(nonché un senso <strong>del</strong> luogo) molto diverso rispetto al<br />

prodotto di una grammatica più incerta e di una sintassi sperimentale<br />

che dialoga con i limiti <strong>del</strong> locale e con i limiti <strong>del</strong>la<br />

stessa ragione architettonica.<br />

Un fatto paradossale è che la critica e la crisi contemporanea<br />

<strong>del</strong>l’architettura europea non derivino dal suo insuccesso e dalla<br />

minaccia <strong>del</strong>la sua estinzione, ma precisamente, così come per<br />

molte altre pratiche occidentali, dalla sua ubiquità, dal fatto che<br />

il suo linguaggio e la sua ragione sono divenuti universali. Nella<br />

razionalizzazione <strong>del</strong>la tecnologia e <strong>del</strong>la tecnica, la sfida <strong>del</strong>l’indecifrabile<br />

viene inevitabilmente sostituita dal concetto <strong>del</strong>l’immediatamente<br />

disponibile, la poetica viene sostituita dal pragmatismo.<br />

In questo modo si arresta pericolosamente lo sviluppo<br />

<strong>del</strong> discorso architettonico, riconducendolo alla razionalizzazio-

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