Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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VOCE NELL’OSCURITÀ, MAPPA DELLA MEMORIA 115<br />
zioni binarie, non solo di quelle tra le musiche “autentiche” e<br />
“non autentiche”, ma anche di quelle tra identità “autentiche” e<br />
“non autentiche”.<br />
Una provocazione quasi contemporanea che si orienta su linee<br />
simili e che riceve l’influenza diretta di Hendrix è stata la posizione<br />
di sfida che Miles Davis ha assunto tra la musica nera urbana e<br />
il rock bianco dopo l’uscita di In a Silent Way (1969). Come sfidando<br />
“l’evidente inclinazione per la medesimezza e la simmetria”<br />
(Gilroy 1993a, p. 186), Hendrix e Davis fanno parte di un’avanguardia<br />
musicale nera alla quale si potrebbero aggiungere nomi<br />
e stili tanto eterogenei come quelli di Sun Ra, John Coltrane,<br />
George Clinton, Sly and the Family Stone, Prince, la quale ha<br />
perturbato l’ovvietà di siffatte distinzioni, alleviando la musica<br />
dalle pretese <strong>culturali</strong> (ed etniche) precedenti senza allentare la linea<br />
di basso, il “nero continuo”, <strong>del</strong>la loro storia, <strong>del</strong>le loro cronologie,<br />
e la sua particolare maniera di raccontare. Diventa una<br />
musica che resta sospesa nelle configurazioni storiche e <strong>culturali</strong><br />
<strong>del</strong>l’etnicità, perché indiscutibilmente è africano-americana, ma<br />
che non è più il punto di arrivo, bensì il punto di partenza di una<br />
serie di aperture che porta a una riconfigurazione radicale <strong>del</strong>l’estetica<br />
e <strong>del</strong>l’etica urbane. Accolta lungo questa direttiva, la predilezione<br />
di Hendrix per i suoni extraterrestri e per i mondi fantascientifici<br />
(in brani come Third Stone from the Sun, Up from the<br />
Skies, 1983… A Merman I Shall Turn To Be) riecheggia lungo uno<br />
spettro che certamente si estende dai viaggi cosmici <strong>del</strong>la Solar<br />
Arkestra di Sun Ra a Interstellar Space di John Coltrane, e poi attraversa<br />
il funk cibernetico di George Clinton per arrivare alle<br />
“radici” ritoccate digitalmente e sintetizzate nel dirottamento<br />
contemporaneo <strong>del</strong> rap urbano e <strong>del</strong>l’hip hop.<br />
Nel sorprendente lirismo <strong>del</strong>la “voce” musicale di Hendrix,<br />
veniamo costantemente attirati in un linguaggio che parla con accenti<br />
di un altro <strong>mondo</strong> di una redenzione culturale che in apparenza<br />
viene sempre rimandata a domani e spostata in altro luogo.<br />
Da questo disincanto (il blues in senso più profondo <strong>del</strong> termine<br />
come “struttura <strong>del</strong>la sensazione”, Raymond Williams), e non<br />
semplicemente dalla figura musicale, Hendrix intesse una poetica<br />
elettrica che riesce a spezzare la sua eredità musicale e culturale e<br />
non formula soltanto una promessa, ma anche un’efficace rielaborazione<br />
<strong>del</strong>le condizioni che costituiscono la sua complessa collo-