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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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166 IAIN CHAMBERS<br />

sull’“al di là”, sul supplemento <strong>del</strong>la sua impetuosa razionalità,<br />

rende irreperibile quel progetto precedente.<br />

Qui la città, in quanto esistente, si erge come oggetto e generatore di<br />

un gran numero di futuri possibili, ognuno calcolato a seconda <strong>del</strong>la<br />

natura <strong>del</strong>la sua opposizione a siffatti futuri. Il progetto architettonico,<br />

mentre cristallizza uno o più di questi futuri, viene poi presentato<br />

alla città, per così dire, come un intero, non come una sostituzione o<br />

un rimpiazzo, come nell’urbanesimo utopico <strong>del</strong> modernismo, bensì<br />

come materiale da sottomettere alla vita e al potere consumante <strong>del</strong><br />

contesto. I “tipi” apparentemente onnicomprensivi vengono pertanto<br />

frantumati dalla controforza <strong>del</strong> luogo (Vidler 1992, p. 200) 1 .<br />

Le città, la vita urbana, l’architettura, come le nostre essenze<br />

sociali, di genere, etniche, nazionali e locali, per quanto possano<br />

essere costruite per decreto pedagogico e disciplinare, in ultima<br />

analisi dipendono da una performance o stile d’essere, dall’articolazione<br />

storica e da un’etica iterata nel nostro divenire. La verità<br />

<strong>del</strong> nostro essere è qui, nel fatto che ascoltiamo e rispondiamo a<br />

quel linguaggio. In quello spazio, per quanto eccessivamente determinato<br />

dall’assalto apparentemente irresistibile di capitale e<br />

controllo corporativo (che in questi anni si sostituisce sempre più<br />

alle politiche istituzionali), esiste un eccesso culturale e poetico<br />

che non si può ricondurre al razionalismo e alla logica calcolatrici<br />

di coloro che intendono sovrintendere al nostro futuro. Questa<br />

integrazione interrompe e mette in discussione il desiderio politico<br />

<strong>del</strong>la conclusione, <strong>del</strong>la comprensione universale e l’asservimento<br />

razionalista <strong>del</strong> <strong>mondo</strong>. Questo desiderio si disperde nello<br />

spazio tra gli edifici, nel vuoto tra proclami misurati, nel silenzio<br />

che la geometria non riesce a codificare, nelle ombre che offuscano<br />

la trasparenza. Infine le energie si riversano per le strade e per<br />

i territori <strong>del</strong>l’incertezza dove i corpi e le voci storici, muovendosi<br />

in uno stato mutevole, ora “arcaico” e ora “cyborg”, coniugano la<br />

tecnologia e l’essenza in un interrogativo comune. Qui la chiarezza<br />

accattivante e il potere <strong>del</strong>l’informazione sono traditi nel perenne<br />

transito e nella traduzione che accompagna un adattamento<br />

differenziato nel <strong>mondo</strong>. Qui c’è la possibilità di varcare i confini<br />

1 Qui Vidler descrive l’architettura sperimentale di Wiel Arets.

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