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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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QUESTIONE DI STORIA 39<br />

<strong>del</strong> sé. Storicamente, e non solo in Occidente, la costruzione<br />

<strong>del</strong>l’“io”, in quanto individuo sessuale, etnico, storico, culturale e<br />

nazionalizzato, è avvenuta attraverso la presenza, sia reale che immaginata,<br />

di un altro, che ha immancabilmente vestito i panni<br />

alieni <strong>del</strong>la mostruosità. L’indebolimento di questa relazione, il rifiuto<br />

<strong>del</strong>l’altro di rispecchiare me e le mie ossessioni, conduce a<br />

una crisi nel senso precedente <strong>del</strong> mio sé. La vicinanza <strong>del</strong>l’altro a<br />

me, raggiunta per mezzo <strong>del</strong>le forze economiche e politiche <strong>del</strong>la<br />

modernità e <strong>del</strong>l’annullamento <strong>del</strong>le distanze a opera <strong>del</strong>la tecnologia<br />

(dalla nave a vela all’aeroplano alla tecnologia digitale e alla<br />

robotica), apre alla critica e al criticismo quella precedente disposizione<br />

culturale, con il suo fermo senso di distanza razziale, sessuale,<br />

geopolitica e strumentale e la conseguente assicurazione di<br />

un’identità separata.<br />

Tuttavia, intendo altresì proporre qualcosa che sfugge, o forse<br />

si libera, dal semplice dualismo, dalla dicotomia tra centro e periferia,<br />

tra egemonia e subalternità, tra me e l’altro. Le osservazioni<br />

sulle differenze etniche, storiche e <strong>culturali</strong> che compongono e interrogano<br />

il <strong>mondo</strong> d’oggi avvengono in un contesto caratterizzato<br />

da un mutamento perenne. È un contesto in cui le supposizioni<br />

<strong>del</strong>la stabilità apparentemente antropologica <strong>del</strong>l’identità etnica<br />

e razziale, <strong>del</strong>l’identità <strong>del</strong> sesso, <strong>del</strong>l’identità <strong>del</strong>l’umano stesso,<br />

vengono viste e vissute in maniera assai meno sicura. Come ha<br />

ripetuto con vigore Frantz Fanon (1991, p. 202) – “Non sono prigioniero<br />

<strong>del</strong>la Storia. Non devo cercarvi il senso <strong>del</strong> mio destino”<br />

– si tratta di indebolire, persino sconfessare queste ancore <strong>del</strong>l’identità<br />

nel passaggio critico oltre i confini <strong>del</strong>le strutture egemoniche<br />

<strong>del</strong> potere/sapere occidentale e <strong>del</strong>l’affermazione automatica<br />

<strong>del</strong>le lotte storiche che vi si contrappongono. Ecco che l’identità,<br />

da sereno porto d’arrivo, diviene il punto di partenza per un<br />

viaggio privo di garanzie 1 .<br />

Avventurarsi al di là <strong>del</strong>l’assolutismo <strong>del</strong>l’identità (tutti sappiamo<br />

chi siamo, non è vero?) vuol dire varcare una serie di frontiere,<br />

le più ovvie <strong>del</strong>le quali sono quelle <strong>del</strong>l’Illuminismo e <strong>del</strong>l’Umanesimo<br />

europeo, e penetrare in un’etnografia in cui l’“uomo”<br />

1 Questo punto viene espresso nella maniera più eloquente nelle pagine conclusive di<br />

Said 1994.

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