Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...
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142 IAIN CHAMBERS<br />
esposta dalla critica. Con questo rifiuto di considerare i linguaggi,<br />
lo stile, la realizzazione in fieri <strong>del</strong>le possibilità vissute <strong>del</strong>la città, al<br />
termine <strong>del</strong>la giornata non è ben chiaro che tipo di politica liberatoria<br />
venga proposta. La critica consente certamente di articolare<br />
alcuni racconti assai potenti <strong>del</strong>la capitalizzazione <strong>del</strong>l’esistenza<br />
contemporanea, ma quel potere si ricava per l’appunto dal silenzio<br />
degli attori, dall’assenza critica degli agenti sociali e dalle vite di<br />
coloro che vengono rappresentati. Spinto dal desiderio utopistico<br />
di proporre un’alternativa autonoma (se non altro offrendo una<br />
totalità negativa), conduce ironicamente a un idealismo dematerialista.<br />
Tanto Marx quanto Gramsci ribadivano che il nuovo sarebbe<br />
scaturito dal ventre <strong>del</strong>la società vecchia. Quanto detto sembrerebbe<br />
indicare una concezione atopica piuttosto che utopica, in<br />
grado di leggere nel presente un potenziale capace di modificarlo,<br />
e quindi di scardinarne sia la logica strutturale che le immediatezze<br />
verso un altro senso <strong>del</strong>la posizione e <strong>del</strong>la possibilità. L’economia<br />
politica <strong>del</strong>lo spazio non rappresenta un punto d’arrivo finale,<br />
bensì un punto di partenza. Viviamo tutti certamente in “condizioni<br />
che non abbiamo scelto di nostra spontanea volontà”, ma da<br />
quel momento in poi che cosa succede?<br />
“L’arte <strong>del</strong> vuoto”<br />
Nella città, il mito e il desiderio perenni <strong>del</strong>le origini, di un luogo<br />
di spiegazione sicuro, di una stabilità <strong>del</strong>le fondamenta, vengono<br />
sempre procrastinati per mezzo <strong>del</strong>la ri-scrittura e <strong>del</strong>la ri-narrazione.<br />
Questo ritorno eterno ritaglia un intervallo, ossia “l’arte<br />
<strong>del</strong> vuoto” (Carter 1996), che rende possibile una riconfigurazione<br />
tale da intrappolare e sviare il “progresso”. Narrare la città nel<br />
passaggio fisico <strong>del</strong> nostro corpo, oppure percorrerla a piedi e misurarci<br />
con e contro di essa, significa indubbiamente cercare nei<br />
nostri circondari il paradigma ragionato <strong>del</strong>l’antica polis, la promessa<br />
primaria <strong>del</strong>l’agora. Ma quel disegno e desiderio viene ineluttabilmente<br />
attraversato da motivi e temi moderni: velocità, efficienza,<br />
razionalizzazione, in una parola, la parsimoniosa gestione<br />
<strong>del</strong>la tecnologia, guidata dal telos <strong>del</strong>lo sviluppo economico nella<br />
sua direzione politica. La maggior parte di noi non percorre la<br />
città a piedi, bensì con un mezzo di trasporto: la macchina, la me-