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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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190 IAIN CHAMBERS<br />

Questo ci riporta all’assillante domanda <strong>del</strong>l’antropologia,<br />

che non si può semplicemente ridurre a una questione di colpa<br />

o responsabilità. Si tratta piuttosto di un sintomo significativo<br />

<strong>del</strong>le tradizioni istituzionali e disciplinari <strong>del</strong>l’Occidente: quell’insieme<br />

eterogeneo di tesi e orientamenti critici che, però, acquista<br />

un’unità contingente e un’epistemologia condivisa nelle<br />

configurazioni <strong>del</strong>la modernità e <strong>del</strong> “progresso” occidentale e<br />

porta il resto sotto gli occhi <strong>del</strong>l’Occidente. L’antropologia occidentale<br />

è il legislatore storico <strong>del</strong> traffico tra i mondi. Una disciplina<br />

di confine, che ha centrato nella maniera più esplicita il<br />

soggetto occidentale stabilendo la distanza temporale e culturale<br />

tra un “noi” e un “loro”. Nondimeno questa tendenza <strong>del</strong><br />

desiderio e <strong>del</strong>la paura, per quanto esposta in maniera più evidente<br />

nei protocolli <strong>del</strong>l’antropologia, non è prerogativa di<br />

questa disciplina: è sedimentata nel cuore stesso <strong>del</strong>le scienze<br />

umane e sociali, nei metodi, nelle modalità e nei mezzi per comunicare<br />

e spiegare il <strong>mondo</strong>.<br />

Ne consegue che la crisi <strong>del</strong>l’antropologia (nonché il richiamo<br />

<strong>del</strong>la vicinanza etimologica <strong>del</strong>la crisi nella pratica e nella<br />

teoria critica) diventa significativa per tutti coloro che agiscono<br />

nell’ambito di questa disposizione <strong>del</strong>la conoscenza. Se, a questo<br />

punto, l’antropologia occidentale diventa l’antropologia <strong>del</strong>l’Occidente,<br />

o forse più precisamente l’antropologia <strong>del</strong>l’occidentalizzazione<br />

<strong>del</strong> <strong>mondo</strong>, la possibilità che ci resta non è solo<br />

quella di contemplare narcisisticamente il nostro ombelico e riprodurre<br />

la nostra centralità in un linguaggio elegante. Si apre<br />

anche la strada al più arduo e ambiguo lavoro e impegno che<br />

consiste nell’indebolire e dislocare quella tendenza <strong>del</strong>la conoscenza<br />

e <strong>del</strong> potere che, con le sue tecniche e tecnologie per catalogare<br />

e riordinare la realtà, ha storicamente mondeggiato il<br />

<strong>mondo</strong> per creare le categorie e le “verità” di centro e periferia,<br />

progresso e sottosviluppo, civiltà e primitivismo, “Primo” e<br />

“Terzo” <strong>mondo</strong>, Occidente e resto <strong>del</strong> <strong>mondo</strong>. Non è possibile<br />

cancellare una storia <strong>del</strong> genere, ma è possibile riscriverla e rielaborarla.<br />

È possibile ri-citarla per ri-situarla, per cavare dai<br />

denti <strong>del</strong>la modernità occidentale la sua potenziale critica e la<br />

suo potenziale dislocazione. Vorrebbe dire registrare e ascoltare<br />

come i suoi linguaggi, le sue tecnologie e le sue tecniche vengono<br />

vissuti in altro modo, e infine vissuti dagli altri.

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