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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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194 IAIN CHAMBERS<br />

prescrittivi: un potenziale pronto a turbare l’impianto esistente<br />

<strong>del</strong> “politico”. Qui il linguaggio cinge la centralità <strong>del</strong>la narrazione<br />

– narrare la nazione, narrare noi stessi – nel problema <strong>del</strong>l’identità.<br />

Benedict Anderson, Stuart Hall e Homi Bhabha: nei<br />

loro diversi approcci rimane l’attenzione comune alla continuità<br />

<strong>del</strong>la narrazione nella comprensione <strong>del</strong>l’identità nazionale. Proprio<br />

questa continuità consente alla coerenza di manifestarsi, tiene<br />

a bada il turbamento e struttura la contestazione, consentendo<br />

che una vasta serie di elementi venga assorbita nel quadro organico<br />

e nella crescita naturale <strong>del</strong>la nazione. L’organico, col suo<br />

senso <strong>del</strong>le radici, <strong>del</strong>le origini, <strong>del</strong>la crescita, <strong>del</strong> cambiamento e<br />

<strong>del</strong>la continuità, <strong>del</strong>la tradizione e <strong>del</strong>la trasformazione, offre la<br />

costellazione mitica che, come ha affermato una volta Roland<br />

Barthes (1973), trasforma la storia in natura. Forse questa è una<br />

configurazione apparentemente più consona al Vecchio Mondo,<br />

in cui il linguaggio, il sangue e l’appartenenza sembrano sgorgare<br />

già maturi dal suolo natio, dove le identità nazionali vengono<br />

concepite in termini di sovranità anziché di diritti, di affinità invece<br />

che di contratto. Tuttavia l’eredità egemonica è all’opera<br />

ovunque: una cultura nazionale acquisita (il suo linguaggio, la<br />

sua storia, le sue tradizioni e i suoi riti) viene sempre considerata<br />

meno di quella che si ha dalla nascita (Hage 1996, p. 467). Le linee<br />

di sangue e l’etnicità hanno sempre la meglio sul contratto e<br />

sul consenso.<br />

Estraniare l’Occidente<br />

Il punto centrale, quando si pensa alla narrazione <strong>del</strong>la nazione,<br />

in tutte le sue varianti, è il modo in cui, nel rendere conto <strong>del</strong><br />

passato, si finisce con l’espungere l’insita violenza su cui si fondano<br />

la nazione stessa e la modernità occidentale. La violenza viene<br />

sempre scaricata altrove, su un altro paese, su un altro <strong>mondo</strong>.<br />

Nel suo lavoro intitolato Storm from Paradise: The Politics of Jewish<br />

Memory, Jonathan Boyarin (1992) si sofferma sul paradosso<br />

<strong>del</strong>l’obliterazione e <strong>del</strong>la dislocazione <strong>del</strong> genocidio nella creazione<br />

di uno Stato nazionale, in questo caso il genocidio dei nativi<br />

americani in un paese nella cui capitale si trova un museo dedicato<br />

all’Olocausto.

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