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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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94 IAIN CHAMBERS<br />

trattato di Robert Burton sulla questione, datato 1621, allo studio di<br />

Walter Benjamin di questo “teatro <strong>del</strong> lutto”, tre secoli più tardi<br />

(1928), l’argomento si riscontra ovunque, e viene amplificato, in<br />

maniera più sintetica, nella musica di quel periodo. Tuttavia, se la<br />

malinconia rappresenta l’infinito <strong>del</strong> dolore, una perdita mai accettata<br />

come un lutto, cosa cerca di trattenere e incorporare esattamente<br />

la malinconia barocca nella sua incessante proiezione <strong>del</strong>la<br />

sofferenza? Per quale motivo, in tutto il suo eccesso teatrale, la nota<br />

conclusiva è una nota diminuita, un’eco dissonante <strong>del</strong>la privazione<br />

che scompare? Se le qualità <strong>del</strong> Barocco vengono generalmente ritratte<br />

nella malinconia maschile, che cosa traspira in questo lutto<br />

annunciato eppure incompleto? Ripudiando la sicurezza cosmica, la<br />

divinità sicura e la certezza religiosa, si ha certamente una perdita<br />

che non è mai possibile riconoscere pubblicamente o elaborare privatamente,<br />

poiché la proibizione è di natura culturale e storica. Per<br />

darne annuncio, non esiste alcuno spazio pubblico, fuorché l’eresia.<br />

L’eresia, come riconoscimento differito <strong>del</strong>la perdita, comporta l’essere<br />

sospesi tra la mancanza e lo stato che deve essere ancora raggiunto.<br />

Muoversi in un ordine secolare che continua a negare la<br />

possibilità di seppellire il suo predecessore significa rimanere intrappolati<br />

nel trauma di “mimare la morte che non si può piangere”<br />

(Butler 1997, p. 142). Ma c’è <strong>del</strong>l’altro, qualcosa inerente alla malinconia<br />

maschile e al corpo barocco, che ha a che fare con la definizione<br />

di limiti e confini, <strong>del</strong>l’essere costretto entro il vincolo <strong>del</strong>l’ineluttabilità<br />

<strong>del</strong>la morte, entro l’orizzonte potenziale <strong>del</strong>la morte e<br />

<strong>del</strong>l’alterità, che, nella maniera più drammatica possibile, è strettamente<br />

connesso allo spazio coloniale.<br />

Tuttavia, questo è anche il corpo che oltrepassa i limiti precedenti,<br />

che sorvola e supera la sua posizionalità nell’epoca precedente,<br />

non si sente più limitato dalla geografia di un’autorità unica.<br />

Ormai questo corpo europeo è altresì l’oggetto <strong>del</strong>lo sguardo<br />

<strong>del</strong>l’estraneo, e pertanto diviene al contempo un soggetto centrato<br />

e limitato: “io non vedo che da un punto, ma nella mia esistenza<br />

sono guardato da ovunque” (Lacan 1964, p. 74) 1 . Nei confini e<br />

1 L’idea di essere contemporaneamente centrato e limitato viene discussa nella maniera<br />

più dettagliata nel racconto di Michel de Certeau di Jean de Léry, protagonista <strong>del</strong>la<br />

modernità, il quale in Brasile, negli anni Sessanta <strong>del</strong> Cinquecento, fu testimone oculare<br />

di una scena primaria nella costruzione <strong>del</strong> discorso etnologico. Si veda al riguardo il capitolo<br />

intitolato Etno-grafia: l’oralità, o lo spazio <strong>del</strong>l’altro: Léry, in de Certeau 1975.

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