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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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36 IAIN CHAMBERS<br />

primitivo con la perfezione <strong>del</strong> futuro si sostituisce una spirale di<br />

ritorni trasversali che innestano il passato nel presente, l’arcaico<br />

nell’avanguardia. In questa interruzione inattesa, la narrazione<br />

storica non è semplicemente costretta ad amplificare le proprie<br />

conoscenze, bensì le viene richiesto anche di riconsiderare la propria<br />

struttura, i propri stimoli e i propri desideri.<br />

Ciò equivale a spezzare la linearità <strong>del</strong>la spiegazione e riportare<br />

la modernità alla fase iniziale che aveva segnato l’inizio di uno scenario<br />

mondiale, nel Quattrocento. Ritornare alla violenta appropriazione,<br />

colonizzazione, imperializzazione europea e alla successiva<br />

ibridazione <strong>del</strong> resto <strong>del</strong> <strong>mondo</strong> vorrebbe dire invertire le tendenze<br />

critiche prevalenti che vedono nella globalizzazione semplicemente<br />

la più recente (nonché ineluttabile) manifestazione <strong>del</strong>la<br />

precedente storia economica. Vorrebbe dire che la globalizzazione<br />

non riguarda solo l’accaparramento <strong>del</strong> potere <strong>del</strong>le multinazionali<br />

e <strong>del</strong> capitale, ma anche, e in maniera più significativa, la più estesa<br />

cartografia ontologica che trasformi il <strong>mondo</strong> in identità e interesse<br />

occidentale in ogni ramo <strong>del</strong>l’attività storica. È questa particolare<br />

struttura storica che si tradisce nel presunto universalismo<br />

<strong>del</strong> suo umanesimo e <strong>del</strong>le tecnologie <strong>del</strong> sé. In questa prospettiva,<br />

la dimensione postcoloniale è forse più facile da comprendere come<br />

luogo sovradeterminato in cui sia chi era colonizzatore che chi<br />

era colonizzato è stato colonizzato fisicamente e psichicamente.<br />

Qui forse è necessario congedare la “storia” stessa per uscire dagli<br />

schemi che ognuno di noi ha ricevuto in eredità e quindi per ritagliarsi<br />

lo spazio necessario a riacquistare la possibilità di muoversi<br />

(McLean 1998).<br />

La storia non è solo parziale, è anche partigiana. Riconoscere e<br />

registrare il tempo e lo spazio, la voce, il corpo, l’intento cosciente<br />

e inconscio, significa essere più, non meno, storico. Raccontare<br />

il passato con questa disposizione più flessibile può richiedere di<br />

leggere meno “storia” e di ascoltare più musica, di dedicarsi ai romanzi<br />

anziché alla statistica, al fine di de-centrare la comprensione<br />

“realista” (e le sue fondamenta epistemologiche nella presunta<br />

trasparenza <strong>del</strong> linguaggio e <strong>del</strong>la ragione) cui fanno appello numerose<br />

storie. Qui la spirale <strong>del</strong> linguaggio (in quanto testimonianza,<br />

evocazione e letteratura) interrompe la linearità che divora<br />

il tempo in nome <strong>del</strong> progresso. Qui la storia ritorna non in veste<br />

di “fatto”, bensì di sopravvivenza. Questo ricorso storico apre

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