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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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228 IAIN CHAMBERS<br />

telligibile solamente ai miei interessi, mi ritrovo in un’apertura<br />

che rende la mia comprensione, le presunzioni <strong>del</strong>la mia storia, il<br />

mio senso <strong>del</strong>l’essere, raccontabili a un altro, che li rende differenti.<br />

La mia storia viene interrotta, le sue pretese sul <strong>mondo</strong> sradicate;<br />

non più unica, è portata a rendere conto di un incontro<br />

che non è più in grado di controllare, di rappresentare appieno,<br />

ma che non può più escludere.<br />

Mettendo in atto un significato indipendente dal mio potere,<br />

l’incontro con l’alterità supera radicalmente la semplice estensione<br />

<strong>del</strong> mio <strong>mondo</strong> che include l’altro, perché ricevo dall’altro una<br />

storia che non è mia, una storia che mi insegna ad accogliere ciò<br />

che fuoriesce dagli argini <strong>del</strong> mio egoismo e che quindi, come ribadisce<br />

Lévinas, incoraggia la mia libertà: “chiamandola alla responsabilità,<br />

la instaura e la giustifica” (p. 202). In ciò che rifiuta<br />

di essere contenuto è sita la disgiunzione radicale tra il domestico<br />

e l’estraneo, tra il viaggio di ritorno verso la casa e l’interminabile<br />

apprendistato <strong>del</strong>l’eterno movimento oltre il mio sé.<br />

Lo straripamento <strong>del</strong> perturbante, l’eccesso <strong>del</strong> sublime, trabocca<br />

in uno specchio scuro che svela un tormento storico radicato<br />

nelle pieghe stesse <strong>del</strong>la modernità. I volti, i corpi degli altri<br />

rifiutano di svanire: persistono, ritornano, eppure, la tentazione<br />

è di ritrarsi. Ci sentiamo minacciati da ciò che non siamo<br />

in grado di contenere. La ragione consiglia la resistenza. Avvertiamo<br />

la necessità di appartenere, di essere residenti, abitanti di<br />

un luogo sicuro. La casa ci attira verso questo senso <strong>del</strong>l’appartenenza.<br />

Sentirsi a casa significa possedere sia lo spazio fisico<br />

che quello simbolico in cui ci si muove, nonché dipenderne per<br />

il senso <strong>del</strong> sé.<br />

Per questo lo spaesamento è raramente il benvenuto. Il <strong>mondo</strong><br />

<strong>del</strong>l’ibridazione e <strong>del</strong>l’incertezza interstiziale è raramente una<br />

scelta, piuttosto una condizione in cui ci si ritrova. Ma, a questo<br />

punto, che cos’è esattamente “casa”? Casa per chi, e per cosa?<br />

Inevitabilmente considerata il sito <strong>del</strong>la continuità, <strong>del</strong>la tradizione<br />

e <strong>del</strong>la famiglia, <strong>del</strong> sangue e <strong>del</strong>l’appartenenza, la casa è il sito<br />

in cui si conserva una concezione narcisista <strong>del</strong>la vita. In questa<br />

riproduzione <strong>del</strong>lo stesso, l’evocazione <strong>del</strong>la “quadratura” di<br />

Heidegger, che insiste sul fatto che siamo sulla terra e sotto il cielo,<br />

può attirarci in un senso di casa che varca i ristretti confini<br />

<strong>del</strong> conservatorismo egocentrico. Questo perché qui il locale non

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