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Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente - Studi culturali e ...

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ARCHITETTURA, AMNESIA E IL RITORNO DELL’ARCAICO 141<br />

aderendo in modo discontinuo agli stili di vita più ordinati di<br />

Londra, Parigi, Milano e New York. Tuttavia, nella sua apparente<br />

vicinanza alle città più “tipiche” <strong>del</strong> <strong>mondo</strong> e allo scompiglio civico<br />

<strong>del</strong> Cairo, di Città <strong>del</strong> Messico, di São Paulo e di Shanghai,<br />

questa città mediterranea, paradossalmente, si ritrova altresì trascinata<br />

in prossimità <strong>del</strong>la struttura cosmopolita di una Los Angeles<br />

o di una Londra, dato che la sua storia interna viene sempre<br />

più interessata dall’intrusione <strong>del</strong>l’immigrazione extraeuropea e<br />

dalle imposizioni <strong>del</strong>la mondializzazione sulle sue preoccupazioni<br />

locali. Nello spazio di questo “più alto sviluppo <strong>del</strong>le forze produttive,<br />

e per ciò stesso (…) il più ricco sviluppo degli individui”<br />

(Marx 1953, p. 183) che ci invita forzatamente a riconsiderare in<br />

maniera radicale le divisioni spaziali <strong>del</strong> centro e <strong>del</strong>la periferia,<br />

tra un “Primo” e un “Terzo” Mondo, la particolare configurazione<br />

storica di una città come Napoli esercita un’insistenza di cui<br />

non è facile liberarsi. Per quanto drammaticamente impressa sullo<br />

sfondo di un vulcano e <strong>del</strong> mare Mediterraneo, l’interrogativo<br />

che Napoli inserisce nella tarda modernità e nel capitalismo globale<br />

non è affatto tipico soltanto di quella città, anzi si ripropone<br />

per porre in discussione e turbare l’omogeneità proiettata <strong>del</strong><br />

programma <strong>del</strong>ineato dagli ansiosi poteri metropolitani, che anelano<br />

a una simmetria impeccabile.<br />

Paradossalmente, questa tanto agognata simmetria si riflette,<br />

addirittura si amplifica in chiarezza, nelle versioni rispecchiate dei<br />

precetti <strong>del</strong>lo spazio urbano moderno che ci offrono le letture<br />

marxiste contemporanee di Fredric Jameson, Mike Davis e, in misura<br />

minore, David Harvey. Queste interpretazioni tendono a rimuovere<br />

il poetico dal politico, giungendo così a una denuncia<br />

che non annuncia null’altro 1 . Consente all’osservatore, al critico,<br />

di raggiungere una simmetria mortale, ma rende ciò che è osservato<br />

una vittima pura e semplice <strong>del</strong> piano, <strong>del</strong> progetto, <strong>del</strong>la logica<br />

1 Jameson 1992; Davis 1992; Harvey 1989. La lettura di Harvey viene in qualche modo<br />

moderata dalla presenza <strong>del</strong>l’opera di Henri Lefebvre sulla politica <strong>del</strong>lo spazio, sul<br />

quotidiano e sulla città. Ovviamente è possibile trasferire queste rappresentazioni apocalittiche<br />

<strong>del</strong> capitalismo catastrofico e le “ecologie <strong>del</strong>la paura” che lo accompagnano a migliaia<br />

di città sparse per tutto il pianeta. Los Angeles, per quanto sia la più pubblica <strong>del</strong>le<br />

metropoli, non ha certo l’esclusiva al riguardo. C’è sempre un inevitabile provincialismo<br />

nelle mappe di cui ci avvaliamo individualmente nelle nostre spiegazioni; si veda al riguardo<br />

Davis 1999.

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