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LO SFRUTTAMENTO DEL MARCHIO IN COMUNIONE E ALL ...

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titolare della quota, il quale non decadeva in alcun modo dal proprio<br />

diritto anche qualora ne avesse fatto un uso lesivo del diritto altrui.<br />

L‟ orientamento della giurisprudenza mutò sotto la vigenza del<br />

nuovo codice civile e, soprattutto, della legge marchi del 1942, che<br />

prevedeva la circolazione del marchio vincolata al trasferimento<br />

dell‟azienda o di un ramo di essa. Le sentenze di merito che<br />

seguivano la pronuncia del 1941 escludevano l‟ammissibilità della<br />

comunione del marchio perché ritenuta in contrasto, vuoi con la<br />

funzione distintiva e con l‟esclusività dell‟uso per prodotti<br />

provenienti da un‟ unica impresa considerata essenziale alla prima,<br />

vuoi con il divieto di inganno del pubblico. 52 “Nei primi anni ‟70, la<br />

giurisprudenza nuovamente mutava il proprio convincimento sulla<br />

problematica. 53 Rifacendosi all‟antico orientamento della<br />

Cassazione, essa si ispirava ad una maggiore autonomia contrattuale<br />

delle parti contitolari del segno. Vi è da dire che scarsi erano i casi in<br />

cui la questione si delineava e, quindi, difficilmente si poteva<br />

assistere ad una maturazione delle posizioni che tenessero conto<br />

dell‟evoluzione della realtà sociale. Tuttavia, come se non fossero<br />

passati decenni, la contitolarità del marchio veniva sempre ritenuta<br />

ammissibile e regolabile come se si trattasse di un bene materiale in<br />

comunione tra più proprietari. Successivamente ed a ridosso della<br />

riforma del 1992, la giurisprudenza affinava le proprie convinzioni<br />

avvicinandosi maggiormente all‟interesse espresso della tutela del<br />

pubblico dei consumatori. “La Direttiva 89/104/CE (della quale la<br />

52 Cfr. App. Milano, 24 ottobre 1958, in Riv. dir. ind., 1959, II,p.291; Trib. Milano 18 gennaio<br />

1962, in Riv. dir. ind, 1963, II, p274; secondo la prima delle sentenze citate “Una comunione<br />

del diritto di marchio non è concepibile altrimenti che nel senso tradizionale, come<br />

utilizzazione collettiva del segno da parte di una pluralità di soggetti in una comunione<br />

d‟impresa.” Per la seconda delle sentenze citate, non sembra concepibile “una comunione o<br />

contitolarità su brevetti per marchi d‟impresa, sembrando questa una contraddizione in termini,<br />

se si considera appunto che il marchio è destinato a contraddistinguere i prodotti di una singola<br />

impresa per la qualità che essi hanno e per la fiducia che il pubblico dei consumatori vi<br />

attribuisce e verrebbe meno appunto nella sua funzione se potesse contraddistinguere prodotti<br />

di un numero indefinito di imprese”.<br />

53 Ammette la comunione di marchio Trib. Napoli, 26 febbraio 1973, in Riv. dir. ind., 1977, II,<br />

p.229ss.<br />

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