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indagine conoscitiva - Corriere delle comunicazioni

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In altre parole, a parità di perimetro merceologico in Italia si destinano molte più risorse al mezzo<br />

televisivo, ed alla televisione gratuita in particolare, con punte dell’85% circa per l’alimentare, e<br />

valori assai elevati anche per l’automobilistico (circa 60%), il farmaceutico (75%), i servizi<br />

finanziari (oltre il 40%), gli altri servizi (45%) e le abitazioni (45%), che nei mercati esteri. Si<br />

consideri, a titolo d’esempio, i servizi che in Italia destinano il 45% <strong>delle</strong> risorse alla televisione,<br />

mentre tale peso scende al 30,3% per la Francia, al 27,8% per il Regno Unito, al 22,7% per la<br />

Spagna e al 22,4% per la Germania.<br />

Analogamente un investitore importante come l’automobilistico (che rappresenta in modo assai<br />

omogeneo tra i vari mercati circa il 10% di tutti gli investimenti pubblicitari) investe oltre il 60% in<br />

Italia; tale valore scende al 42% in Spagna, al 35% in Germania e Regno Unito e addirittura al 24%<br />

in Francia. Ma anche nei settori propri del largo consumo il peso della televisione in Italia non trova<br />

riscontri all’estero: in Italia l’area FMCG (per una definizione v. Tabella 3.11) investe l’84% in<br />

televisione; tale quota scende drasticamente se si considerano gli altri Paesi (al 78% in Spagna, al<br />

76% in Germania, al 62% nel Regno Unito e addirittura al 53% in Francia). In definitiva, l’evidenza<br />

internazionale rende manifesto che la distribuzione merceologica degli investitori italiani non è di<br />

per sé sufficiente a dar conto del peso acquisito dal mezzo televisivo in Italia.<br />

Infine, un’altra caratteristica strutturale del mercato pubblicitario nazionale riguarda il significativo<br />

livello di concentrazione della domanda pubblicitaria. In particolare, elaborando i dati presentanti<br />

nella Tabella 3.11, con riferimento all’Italia, si osserva che le prime due macrocategorie di settori<br />

merceologici in termini di spesa pubblicitaria hanno realizzato, nel 2010, più del 40% degli<br />

investimenti complessivi, mentre le prime cinque hanno raggiungono circa il 67%. Livelli di<br />

concentrazione analoghi sono riscontrabili solamente in Spagna e in Gran Bretagna.<br />

Il livello di concentrazione dal lato della domanda del comparto della pubblicità sui mezzi di<br />

comunicazione sembra essere ancora più evidente se si considera la spesa realizzata dal singolo<br />

inserzionista. Confrontando a livello internazionale i primi 100 inserzionisti di pubblicità in termini<br />

di spesa pubblicitaria, si osserva che in Italia i primi 50 investitori rappresentano circa il 40%<br />

dell’investimento pubblicitario complessivo, mentre negli altri paesi non raggiunge la medesima<br />

quota.<br />

In definitiva, il settore pubblicitario italiano è caratterizzato da una significativa concentrazione dal<br />

lato dell’offerta, della domanda oltre che dell’intermediazione pubblicitaria (v. Capitolo 2), con un<br />

peculiare peso del mezzo televisivo- in controtendenza rispetto ai trend dei principali Paesi europei-<br />

che è preponderante rispetto sia ai mezzi tradizionali (ed in particolare alla carta stampata), sia<br />

anche a quelli innovativi (internet). Tale peculiarità appare poter essere spiegata solo in parte con<br />

l’esistenza di una struttura della domanda, sbilanciata sugli investitori del largo consumo, che<br />

pertanto avvantaggerebbe la televisione. Infatti, l’evidenza acquisita nel corso dell’<strong>indagine</strong><br />

dimostra che anche a parità di perimetro merceologico esiste in Italia, rispetto all’estero, una decisa<br />

sproporzione del mezzo televisivo rispetto alle altre piattaforme pubblicitarie.<br />

Allegato A alla Delibera n. 551/12/CONS 105

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