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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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Per rendersi conto della situazione di caos che regnava nell’ambiente napoletano, citiamo una frase<br />

dei Carlo Poerio detta al Settembrini il giorno delle sue dimissioni: «Tra il popolo che grida, il Re che<br />

inganna, e i ministri che non sanno quello che fanno, un galantuomo come me non ci può stare» 71 . In mezzo a<br />

queste situazioni grottesche e inaudite, richieste da parte di gente inetta al comando, venne nominato a<br />

comporre un ministero Carlo Troya. Dei potenziali ministri riuniti il 29 marzo, alcuni volevano rimanere<br />

fedeli alla costituzione data da Ferdinando, altri intendevano cambiarla. All’esterno si sparse intanto la voce<br />

che Aurelio Saliceti 72 auspicava un governo repubblicano, tanto da innescare una pericolosa miccia da<br />

portare la Guardia nazionale a schierarsi nelle vie. Troya compose allora un altro governo che il Re accettò.<br />

Pubblicato il 3 aprile 1848, il nuovo programma stabiliva, tra l’altro: «Poter essere deputato ogni uomo di<br />

capacità anche senza censo (...); inviare ministri per stringere la lega italiana; mandare subito un grosso<br />

nerbo di milizia a la guerra contro l’Austria, (...); i tre colori alle bandiere; affrettare l’armamento della<br />

guardia nazionale» 73 . Nonostante il Re avesse avuto da ridire sul programma, non poté far altro che<br />

accettarlo. Facendo una breve analisi, il primo punto fu una vera e propria rivoluzione intellettuale provocata<br />

dal ministro Troya, poiché per “capacità” si intendeva «l’esercizio lodevole ed attuale delle professioni<br />

facoltative, del commercio, della scienza, lettere e belle arti e dell’industria» 74 . Si apriva cioè il campo<br />

parlamentare alla borghesia, ai professionisti ed agli intellettuali.<br />

Ma i ministri plenipotenziari, mandati a Roma per trattare la questione della lega italiana, ritornarono<br />

a mani vuote, poiché il Papa, nell’Allocuzione del 29 aprile 1848, come già detto, aveva precisato che non<br />

intendeva muovere guerra a nessuno stato cattolico 75 . Un altro ministro plenipotenziario fu inviato da Carlo<br />

Alberto per trattare i termini dell’alleanza contro l’Austria, dopodiché, in seguito a varie sfuriate di<br />

Ferdinando che si opponeva, finalmente furono inviati 12 mila uomini al comando di Guglielmo Pepe. In<br />

effetti, precedentemente, il 7 aprile 1848 il Sovrano napoletano aveva annunciato con un proclama l’entrata<br />

in guerra del Regno di Napoli a fianco del Piemonte contro l’Austria, valutando «come esistente di fatto la<br />

Lega italiana, dacché universale consenso de’ principi e de’ popoli della penisola ce la fa riguardare come<br />

già conclusa», ma che secondo Mascia, «invece, non sarà mai conclusa, perché osteggiata dal governo sardo<br />

e dallo stesso re Carlo Alberto, il quale rifiuterà perfino di prendere in esame una espressa proposta di<br />

alleanza, su chiare basi di reciprocità, fra Napoli e Torino» 76 .<br />

Dopo le elezioni del 18 aprile, si destinò il 15 maggio l’apertura del parlamento. Tra le cose di<br />

rilievo fatte dal ministro della pubblica istruzione Imbriani in quel frangente, fu la revoca ai vescovi del<br />

potere di nominare i maestri di scuola.<br />

I liberali furono molto improvvidi nel gestire la situazione, lasciandosi trascinare nel vortice della<br />

provocazione, per cui il dispotismo se ne servì per giustificare l’intervento militare. Una politica<br />

diversamente condotta, più disciplinata e meno impulsiva, avrebbe potuto consentire di attuare il progetto<br />

costituzionale. I liberali, in questo contesto storico, si prestarono al gioco degli avversari 77 . Da una parte,<br />

quindi, vi era lo scudo protettivo della corte e dell’esercito straniero (gli svizzeri); dall’altra una borghesia<br />

divisa ed in discordia e un popolo ignorante, superstizioso, pronto a schierarsi con il vincitore. L’urto<br />

avvenne nelle Camere legislative.<br />

C’era anche chi agiva nell’ombra per cercare di fomentare l’anarchia 78 . L’intoppo nacque dalla<br />

formula del giuramento che dovevano fare i deputati: «Io giuro di professare e di far professare la religione<br />

cattolica apostolica romana: giuro fedeltà al re del regno delle Due Sicilie. Giuro di osservare la costituzione<br />

conceduta dal re il 10 febbraio» 79 che secondo i deputati raccolti a Monteoliveto negava la libertà di<br />

coscienza ed il programma stabilito dall’ultimo Governo Troya. I parlamentari ed i ministri decisero di non<br />

accettarla e il 14, tramite un’altra studiata da Giuseppe Pica, esposero le loro ragioni al Re, per cui si<br />

accettava nella norma di giuramento la fedeltà al re, ma si aggiungeva un articolo che attribuiva i poteri<br />

sovrani all’Assemblea. «Il monarca aveva respinto la proposta e a sua volta avanzato una formula che<br />

rivendicava le prerogative dell’Esecutivo» 80 . Nelle strade «tutti parlavano, discutevano, ed era un andare, un<br />

venire, e talora grida e minacce» 81 . La folla aspettava nei paraggi di palazzo Monteoliveto, consapevole del<br />

dissidio che si era creato tra il Sovrano e la Camera. Tra questi vi erano numerosi calabresi giunti a Napoli al<br />

seguito dei deputati eletti o richiamati nella Capitale per arruolarsi nella guerra d’indipendenza i quali,<br />

assieme ai cilentani ed ai siciliani, cominciarono a dimostrare la loro inquietudine.<br />

A Napoli i «circoli erano vere leghe di resistenza, organizzate dalla borghesia liberale per necessità<br />

di arginare il doppio pericolo che minacciava lo svolgimento dell’iniziata rivoluzione: pericolo dall’alto,<br />

poiché i maggiorenti del partito ultra-borbonico non cessavano di cospirare contro il novello regime, pericolo<br />

dal basso, poiché la plebe, non trovando nulla da guadagnare in quel rivolgimento, dava segni non equivoci<br />

di avidità spoliatrice e di tendenze sanfediste» 82 .

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