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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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Siderno Rizzuto 189 . Nel pomeriggio si canta il Te Deum. Al Bonafede era concesso di circolare liberamente in casa, ma nel cortile<br />

vi erano una cinquantina di armati che sorvegliavano l’ambiente. Sul portone sventolava la bandiera tricolore. A Gioiosa i<br />

rivoluzionari ricevettero, tramite Giuseppe Amaduri, una lettera da Gerace che segnalava l’arrivo delle truppe regie 190 .<br />

Dall’ennesima colletta si raccolsero 438 ducati tra i maggiorenti del paese ed altri 151 ducati e 80 grani prelevati dalla cassa<br />

comunale, tramite il cassiere Giuseppe Totino, per i quali Bello, Mazzone e Salvadori rilasciarono regolare ricevuta. Da rilevare che<br />

gli insorti non usarono nessuna violenza nei confronti del famigerato giudice Parandeli, a cui era stato rivolto l’invito di lasciare<br />

Gioiosa e ritirarsi a Dasà, suo paese natìo.<br />

La comitiva rivoluzionaria a sera proseguì a suon di tamburo verso Roccella. In corrispondenza della<br />

contrada Croce, un misterioso uomo a cavallo si appartava con i capi dietro un muro di cinta. Certamente<br />

avrà rapportato che Reggio era stata cannoneggiata, Messina, il resto dell’Isola e Napoli calmi e che le truppe<br />

avanzavano verso il Distretto. Solo Bianco e Staiti rimanevano momentaneamente fedeli ai capi<br />

rivoluzionari 191 che si muovevano a Settentrione.<br />

Arrivati a Roccella a notte fonda, i gregari si accamparono sulla spiaggia presso il piano S. Vittorio, mentre i capi<br />

alloggiavano in casa del Mazzone. Il Bonafede venne rinchiuso in una stanza sotto la guardia del ricevitore Fortunato Jelasi. «Di<br />

poco erano trascorse le tre ore di notte. Giuseppe Mazzone pigliava il fresco sul terrazzo di casa sua, prospiciente il mare. Fermo<br />

nella rada stava un brigantino mercantile, che aveva mandato a terra il battello per fare provvista di viveri e d’acqua; ma il capitano,<br />

avendo da una vicina barca appreso che la città era invasa da bande armate e in preda alla sedizione, richiamava in fretta a bordo i<br />

suoi marinari, per mezzo dei segnali luminosi che soglionsi adoperare in simili circostanze» 192 . Le luci trassero in inganno il vecchio<br />

Mazzone al quale sembrò fossero i fanali di una nave da guerra. La falsa notizia dell’arrivo dei legni borbonici, assecondata<br />

probabilmente anche dal marinaio Nicola Caristo, padre di un seguace del Mazzone per salvare il proprio figlio, provocò lo<br />

scompiglio tra le fila degli insorti che si dispersero. Addirittura pare che l’allarme sia stato uno stratagemma preso al volo dal padre<br />

del Mazzone per interrompere la sommossa e non aggravare le responsabilità del figlio 193 .<br />

A nulla valsero le esortazione dei capi per fermare la gente impaurita dalle possibili conseguenze del<br />

presunto cannoneggiamento. I capi della rivolta erano ormai abbattuti. Michele Bello prima di andar via<br />

diede una chiave al Bonafede pregandolo di consegnarla a suo padre, dicendo: «Sono stato re per tre<br />

giorni!» 194 .<br />

12. La reazione<br />

Un esercito così male organizzato lasciava posto alla spietata persecuzione non solo dei borbonici,<br />

che si misero subito sulle tracce dei capi, ma dei traditori che per danaro vendettero la libertà loro promessa.<br />

Il Bonafede fece incetta di documenti, sequestrando sulla scorridoia che aveva condotto Bello la bandiera<br />

tricolore. Temendo qualche ripensamento da parte dei rivoltosi rimasti ancora in giro, ritorna sulla scorridoia<br />

e sbarca sulla spiaggia della marina di Gerace dove viene accolto con entusiasmo dalla folla. Cominciava<br />

così a scrivere ai giudici ed alle autorità comunali di attivarsi per la cattura dei rivoltosi. Parole aspre ebbero<br />

da lui quelli che si erano dimostrati deboli e incapaci a sostenere la difesa.<br />

Dai ricoveri di Mammola e di S. Luca, le persone che avevano avuto paura dell’insurrezione<br />

ritornarono nei loro paesi per sguinzagliare urbani, gendarmi e spie, a cacciare chi si era opposto al potere<br />

costituito. Così anche il giudice Parandelli che, ritornato al suo posto il 7 settembre, organizzò la processione<br />

per portare in chiesa i busti dei regnanti, i fuochi d’artificio e fece rimettere a posto gli stemmi reali. Anche a<br />

Siderno, dove il Rizzuto aveva ingannato i rivoltosi tutto ritornò al proprio posto. In chiesa si cantò<br />

l’ennesimo Te Deum, e i notabili deliberarono di strappare il proclama costituzionale affisso sulla porta della<br />

chiesa: «Il dottor Basilio Antico si avanzò pieno di entusiasmo e di coraggio , e staccò il foglio» 195 . Sul<br />

campanile svettava la bandiera gigliata. Ad Ardore il capurbano Marando strappava l’ordinanza dai muri e il<br />

giudice Gualtieri ritornava al suo posto. «Simiglianti scene avvenivano per tutti gli altri paesi, come se da<br />

una grande calamità fossero scampati» 196 . Dinanzi alla spiaggia di Bianco un piroscafo della Marina<br />

borbonica scagliò qualche cannonata a salve per affermare che l’ordine era ristabilito.<br />

In un rapporto dell’8 settembre 1847, l’intendente di Reggio rassicurava il ministro Santangelo che<br />

nel Capoluogo di Distretto l’ordine era stato riaffermato. Il Ministro in data 14 settembre scrive<br />

all’intendente che «da un articolo ieri pubblicato nel giornale ufficiale, ho rilevato, che il Sottintendente di<br />

Gerace ed il Tenente di Gendarmeria siano ritornati al loro posto, e che i rivoltosi siano stati respinti da<br />

Gerace» 197 , per affermare «con piacere» 198 in data 18 settembre, che mentre era soddisfatto per l’ordine<br />

ristabilito nel Distretto di Reggio, restava inteso «de’ particolari che riguardavano i movimenti de’ rivoltosi<br />

nel Distretto di Gerace, e delle disposizioni date per ristabilire la calma» 199 .<br />

Furono moltissime le guardie urbane reclutate con la paga giornaliera di 15 grana, come nel caso del<br />

Circondario di Ardore dove erano stati ingaggiati 330 urbani: esperti del territorio, conoscevano l’orografia<br />

dell’Appennino, le grotte, i possibili nascondigli dove i rivoltosi avrebbero trovato ricovero; parlavano la

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