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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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fare. Ma come doveva affrontare lo sguardo in cagnesco del cavaliere X a riguardo? Colloridi, osservando la<br />

ribellione del Calenda, espose il proposito di far intervenire «padre Gerolamo, un buon vecchio del tutto<br />

cieco che viene qua in casa per la confessione. Quel santo uomo visitò in carcere i cinque martiri poco prima<br />

della fucilazione....» 274 .<br />

Martedì Santo l’umile e benefico frate consigliava al Sottintendente, per una serie di motivi, di<br />

prendere la comunione: «Feci la Pasqua nella solenne funzione in duomo; ed il Venerdì santo seguii col<br />

torchio in mano a capo degl’impiegati e delle signore di Geraci la processione del Cristo morto, com’era<br />

l’uso» 275 .<br />

Una situazione contingente portò il tenente a dover narrare al Calenda la propria vita. Nel ‘48 fu<br />

mandato in Lombardia a combattere contro gli Austriaci nella guerra d’indipendenza; il Reggimento venne<br />

richiamato in Napoli improvvisamente (dopo il 15 maggio) ed egli, assieme ad altri ufficiali, seguì invece il<br />

generale Guglielmo Pepe a Venezia. Dopo una serie di peripezie, ritornò a Napoli per assistere la moglie<br />

gravemente ammalata e la figlioletta. La moglie morì e in seguito alla reazione del 15 maggio gli fu offerto il<br />

posto di ufficiale di gendarmeria, anche se sospetto di nutrire sentimenti liberali. Il tenente, in effetti, non<br />

nascose mai al Calenda la sua fede liberale e l’incarico ricevuto dal cavaliere X di tenerlo d’occhio. E poi<br />

ancora di aver garantito il poeta Tomajoli, Bruno Colloridi ed altri attendibili; di essersi confidato con donna Beatrice del<br />

suo passato e del suo amore per l’indipendenza della patria.<br />

Un artigiano vedovo e padre di una bambina, che era nella lista degli attendibili, aveva avuto il<br />

coraggio di resistere alle minacce ed alle prepotenze del cavaliere X, il quale per punirlo dell’insolenza<br />

costrinse il giudice regio ad emettere mandato contro il povero malcapitato. L’artigiano era scappato via e a<br />

nulla erano serviti gli appostamenti del maresciallo di gendarmeria Corbetta per catturarlo. Il tenente, tramite<br />

un gendarme, di tasca propria aveva fatto avere, intanto, alla bambina del fuggiasco dieci ducati per poter<br />

sopravvivere 276 .<br />

Alla Pasqua seguì un’altra funzione civile importante per quei tempi: il 30 maggio si festeggiava<br />

l’onomastico di Ferdinando II. A Gerace, «non v’era truppa da passare a rassegna, non cannoni da sparare,<br />

non fortilizi su cui innalzare la bandiera bianca coi fiordalisi borbonici e le palle medicee. Questa sventolava<br />

solamente dal terrazzino della sottintendenza; ed oltre una luminaria paesana di sera e la vacanza per gli<br />

uffici governativi, l’unica funzione sacra e laica nel tempo stesso era il canto dell’inno ambrosiano in<br />

duomo» 277 . Dunque appare una Gerace spenta. Il Capoluogo negli ultimi anni di governo borbonico sembra<br />

demotivata, forse per il peso degli avvenimenti maturati precedentemente. Nella Sottintendenza<br />

intervenivano i cittadini più in vista della Città «in grande divisa ovvero in abito nero (...); e di là dopo un<br />

usuale rinfresco di paste e rosolii, si andava col sottintendente a capo dell’assisa di gala, preceduto dalla<br />

banda musicale e fiancheggiato da gendarmi e guardie urbane, al palazzo del vescovo» 278 .<br />

Nell’Episcopio si ripeteva il rinfresco, dopodiché il vescovo si spostava in chiesa e, seduto sul trono<br />

a fianco dell’altare, cantava il Te Deum. Quindi, dopo le orazioni di rito, il prelato si congedava<br />

dall’assemblea e ritornava in Sottintendenza al suono dell’Inno borbonico dove c’erano nuovamente i<br />

convenevoli saluti. Intorno alle dieci si riunivano le autorità, i decurioni e i cittadini più in vista di Gerace, a<br />

cui si aggregava anche il misterioso cavaliere X «fregiato dell’ordine cavalleresco» 279 . Il Sottintendente<br />

indugiava ad uscire dalla sua stanza per via delle difficoltà incontrate ad indossare la livrea non essendo<br />

usuale portarla e, volendo spiegare ai presenti il motivo del ritardo, profferì le parole: «Mi scusino, ci vuol<br />

più tempo ad indossare la livrea che ad infilare la giacchetta» 280 . Non l’avesse mai detto! Il Calenda aveva<br />

causato, anche se involontariamente, un incidente. Lo sguardo severo del cavaliere X girava intorno per<br />

individuare già chi poteva testimoniare l’accusa di lesa maestà ai danni del Sottintendente. La notizia ebbe<br />

subito risonanza in tutta Gerace. «A que’ tempi ne’ quali si scrutava il pensiero, si notava la parola di dubbia<br />

significazione, si eccedeva nelle più goffe adulazioni verso il re ed il governo dagl’impiegati, sarebbesi<br />

tollerata la pungente allusione del sottintendente ed in quella cerimonia pubblica in onore del re?» 281 . No, non<br />

poteva. Dopo circa venti giorni arrivò la notizia dell’arrivo da Catanzaro del maresciallo di campo Afan de<br />

Rivera. Nessun fatto rilevante era successo nel Distretto e in Provincia da determinare un movimento simile.<br />

Il pensiero del Calenda corse subito a qualche probabile denuncia fatta dal cavaliere X. A Gerace erano in<br />

arrivo «Generale, colonnello di gendarmeria, reggimenti diretti per Geraci e per poco non mancava il seguito<br />

del carnefice» 282 .<br />

Calenda decise di giocare la carta del vescovo Lucia: «A quel bravo uomo, trasecolato all’udirmi,<br />

narrai quel che avveniva in Geraci, della rivoluzione macchinata ed imminente denunziata dal noto cavaliere,<br />

e della quale io sarei stato a capo, degli arresti e delle persecuzioni che ne sarebbero seguite contro tanta e<br />

povera gente, mentre ora regnavano pace e concordia» 283 . Monsignor Lucia, facendo sue le preoccupazioni<br />

del Sottintendente, scrisse una lettera al re. Il Vescovo ebbe grande affetto verso questo giovane

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