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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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Ministeriale (...), ò dato pronto adempimento» 410 , affinché si procedesse alla premiazione di quanti si erano<br />

distinti nei noti avvenimenti. Vengono premiati i capurbani Pasquale Mauro di Palmi, Marcello Grillo di Ciminà,<br />

Cipriano Fragomeni di Portigliola, Vincenzo Criniti di Canolo, Vincenzo Macedonio di Grotteria,<br />

Giovambattista Romano di Castelvetere, il capurbano e gli urbani di Oppido e gli urbani Domenico Palermiti<br />

di Bruzzano e Francesco Zampogna di Pedavoli ai quali va aggiunta una «ratificazione di 30 ducati<br />

ciascuno» 411 .<br />

Anche molti militari ricevettero decorazioni, tra cui il Nunziante che ebbe la Croce di<br />

Commendatore del Real Ordine Militare di S. Giorgio della Riunione assieme al De Corné e al tenente<br />

Colonnello Raffaele D’Aragona di Castrofiano, ecc. 412<br />

In Italia l’ondata rivoluzionaria prese piede ancora più insistentemente e mentre in alcuni Stati si<br />

davano maggiori concessioni democratiche 413 , nel Regno delle Due Sicilie, invece, la parte reazionaria<br />

rimase insensibile, supportata da una polizia che articolava con metodi repressivi il controllo sul territorio.<br />

Nel contempo, com’è ovvio, dalle principali città dei governi assolutistici (Vienna, Pietroburgo, Berlino)<br />

arrivavano responsi di congratulazioni a Ferdinando II per la politica di continenza. Se questi governi si<br />

scomodarono a inviare i loro elogi per aver sconfitto “i perturbatori” della pubblica quiete e le rivolte,<br />

significa che i moti calabresi ebbero strategicamente l’effetto sperato: cioè quello di provocare scompiglio e<br />

la conseguente presa di posizione dei sostenitori della Santa Alleanza.<br />

Nel Distretto di Gerace, il giudice Parandelli continuava l’opera di epurazione avvalendosi della<br />

collaborazione dei cosiddetti “probi”, cittadini, per la maggior parte di umili origini, scelti in ogni comune<br />

che interrogati dalla polizia rispondevano sulla condotta degli attendibili. Questa gente, comunque fosse<br />

interrogata di continuo, tenne una condotta dignitosa evitando di fare delle rivelazioni che avrebbero<br />

compromesso i segnalati politici 414 . I sistemi repressivi continuavano ad essere anacronisticamente operativi.<br />

«Del Carretto stesso, cercando aprirsi una via di conciliazione, biasimava ad alta voce la soverchia rigidezza<br />

delle Corti militari, e l’indugio del guardasigilli nel sospendere la sentenza contro i Geracesi» 415 .<br />

Ferdinando operò delle sostituzioni a livello ministeriale e il 29 ottobre chiese all’intendente di<br />

Reggio un elenco degli arrestati politici ed uno dei latitanti da ripartire in tre classi: capi, mandanti e massa.<br />

Con un decreto del 17 novembre sciolse le commissioni militari di Reggio e Messina per rimettere tutti gli<br />

imputati di primo grado al giudizio ordinato della Gran Corte Speciale. I complici di secondo grado furono<br />

sottoposti invece al giudizio delle Corti Criminali e per i gregari o massa il re dispose che venissero posti in<br />

libertà vigilata a domicilio coatto in un comune diverso da quello di residenza. E poiché questo<br />

provvedimento risultò molto pesante per la gente umile che viveva di modesti lavori nel proprio comune,<br />

un’ordinanza ministeriale del 5 gennaio 1848 consentì loro di ritornarsene nei loro luoghi di abituale dimora.<br />

Così dice il Visalli per questo argomento: «Leggendo negli archivi le carte di quel tempo, non si può<br />

trattenere la nausea nel vedere sindaci, capurbani, ufficiali, magistrati, vantarsi di aver commesso atti da<br />

spione e da sgherro, e magnificando le proprie gesta ed atteggiandosi a puntelli del trono, mendicare qualche<br />

cencio di più sul panciotto o qualche tornese di più su lo stipendio. Avevan fatto da cani, ora chiedevano<br />

l’osso. Non parliamo del Giornale Ufficiale di Napoli o della Cerere di Palermo, che chiamavano i vinti un<br />

branco di malfattori intenti a svaligiare casse pubbliche e private» 416 .<br />

È ovvio che i giornali dell’epoca cercarono di minimizzare gli episodi di ribellione e tra questi anche<br />

quello avvenuto a Gerace. Nel momento in cui si doveva trattare l’argomento si dava una visione a forti tinte<br />

e a volte neanche i nomi degli artefici venivano riportati, come nel caso dei Cinque Martiri di Gerace.<br />

Pasquale Scaglione, per esempio, nella sua opera in merito all’episodio dice asetticamente: «Nel settembre<br />

dell’anno 1847, un fuoco fatuo d’insana ribellione, ma precursore del vasto incendio che nell’anno seguente<br />

invase buona parte d’Europa, si accese in Reggio, Capoluogo di questa provincia, e qualche scintilla toccò<br />

pure il Distretto di Gerace, ma venne subito spenta, ed il popolo di Gerace si armò tutto, come un sol uomo, e<br />

minaccioso respinse le bravate di una masnada di più centinaia di uomini, che cercò di volere occupare la<br />

Città nostra» 417 . Neanche un accenno al gruppo dei cinque trucidati: «Si direbbe che a narrarlo gli scottasse le<br />

labbra; e ciò forse diede alimento alla frottola della grazia trafugata. Lo Scaglione possente e prepotente,<br />

aveva dei nemici per gelosia di predominio anche fra i borbonici del suo paese. Ed è notevole un foglio di<br />

lumi scritto poco prima della rivoluzione al ministro Del Carretto dal cancelliere di polizia Antonio Ferrajoli:<br />

un rapporto violento e velenoso contro Zerbi, Malarbì e l’esteso e ricco loro parentado, con la proposta di<br />

cacciar via tutti costoro dalle pubbliche amministrazioni. Il Ferrajoli inveisce specie contro lo Scaglione, e lo<br />

accusa d’intrigo, di venalità, di anarchia, di poco rispetto al Re, di aver sottoposto ai suoi voleri il vescovo<br />

Perrone, ed impacciata la strada ai sottintendenti Loschiavo e Romeo. Quanto ci sia di vero in questa lunga<br />

sfuriata, non è facile indagare; ma l’indole del Ferrajoli e l’evidente suo dispetto per qualche torto ricevuto<br />

dallo Scaglione, lascian supporre che le tinte del ritratto siano un po’ più fosche del vero» 418 .

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