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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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Dai rapporti dei vari funzionari appare una situazione logisticamente precaria: fucili vetusti e<br />

insufficienti, mancanza di munizioni, diserzioni. A tale proposito, per tutti vale la denuncia fatta dal capo<br />

urbano di Bovalino, Agostino Agostini, il quale, rivolgendosi al sottintendente di Gerace, scriveva: «Non<br />

debbo dissimularle il mio rincrescimento, in riguardo le inosservanze alla disciplina di questi miei Urbani.<br />

Nel disimpegno del loro dovere pochi sono quelli che attendono esattamente, mentre gli altri chi più chi<br />

meno si rendono colpevoli in qualche cosa» 294 ; le punizioni inflitte, lamentava, sono di nessuna efficacia. Il<br />

controloro Pucci, dopo essersi raccomandato per entrare nelle grazie dell’intendente 295 , si portava a Roccella<br />

dove erano giunti «due carichi di Sale da Trapani e per [eseguire] due caricamenti d’Olio per l’estero» 296 .<br />

4. Verso la fine del Regno delle Due Sicilie<br />

Gli ultimi anni del governo borbonico furono all’insegna del sopruso. La corrispondenza veniva<br />

sistematicamente aperta, gli attendibili e i loro famigliari e amici, sorvegliati attentamente da una polizia che<br />

si avvaleva di una fitta rete di spie. Francesco II accentuò maggiormente i metodi repressivi costringendo la<br />

parte più viva dell’intellettualità meridionale a scegliere la via dell’esilio e della clandestinità per coltivare i<br />

fermenti, tutt’altro che sopiti, di libertà e progresso contro l’immobilismo borbonico. Il nuovo Re, avuto<br />

sentore dei preparativi insurrezionali, il 25 luglio 1860 promulgava la Costituzione nella speranza di poter<br />

rabbonire le forti ondate rivoluzionarie. Gli eventi, però, travolsero in modo irreversibile la dinastia Borbone.<br />

Le incriminazioni contro chi osava criticare l’operato del governo e dei sudditi che ne eseguivano gli<br />

ordini, continuarono fino a pochi attimi prima della capitolazione del Regno; e talmente radicata era la fede<br />

al Monarca che era naturale denunciare anche i propri parenti. Paolo Ferraro il 27 giugno 1860 subì un<br />

processo perché «imputato di discorso pubblico diretto a spargere il malcontento contro il Real Governo» 297 .<br />

Ecco il fatto narrato dal regio giudice di Gerace Carlo Mauro. Il 10 giugno 1860 il medico condotto di<br />

Gerace Bruno Corrado, dichiarava al sottintendente ff. e all’ispettore di polizia di aver sentito dire dal suo<br />

nipote Paolo Ferraro che giorno 12 sarebbe avvenuta una «rivolta per dividere le proprietà particolari» 298 .<br />

Una denuncia che non poteva assolutamente passare in secondo ordine. La posta in gioco era molto alta per<br />

insabbiare un principio di focolaio che poteva sconvolgere lo stato di grazia delle famiglie che vivevano di<br />

rendita. Il Ferraro, subito condotto in carcere ed interrogato dalla polizia, negò quanto lo zio confermava.<br />

Aperta l’istruttoria, il Corrado assieme al figlio Giuseppe dichiararono che il loro parente «chiamato a casa<br />

loro e messosi a discorrere chiese se fosse vero che nel dodici detto dovesse succedere una rivoltura in senso<br />

comunisto (sic), alché essi nulla risposero. L’imputato medesimo nell’interrogatorio si è mantenuto sulla<br />

negativa» 299 .<br />

L’istruttoria si assicura che la voce dell’indagato sia circoscritta. Dal verbale viene messo in<br />

evidenza che il Ferraro, geracese ma dimorante momentaneamente a Canolo per motivi di lavoro, era di<br />

solito un uomo tranquillo, «di condotta politica serbata (...) non essendosi mai ingerito in affari di<br />

governo» 300 ; che le manifestazioni attribuitegli erano circoscritte; che non erano circolate neanche frasi «nel<br />

senso di comunismo, e che la tranquillità e lo spirito pubblico in detto Comune, hanno continuato e continuano<br />

senza alterazione di sorte» 301 . Il sottintendente di Gerace ff., inviava al giudice istruttore della stessa<br />

Città tutto l’incartamento relativo all’imputato, che era stato ristretto nelle prigioni geracesi nell’attesa del<br />

processo. Il verbale, stilato il 10 giugno, è molto chiaro riguardo il capo d’imputazione. Davanti al supplente<br />

giudiziario ff. Michele Rizzuto ispettore di polizia del Distretto di Gerace, Bruno Corrado esponeva «che nel<br />

giorno 12 del volgente mese avveniva una rivolta per dividersi le altrui proprietà, lo ché in altri termini<br />

suonava comunismo, che conoscendo egli l’attaccamento all’ordine, ed all’Augusto Governo di Sua Maestà<br />

di questo Sig. Sotto Intendente, il quale con sommo zelo, ed energia è intento nel mantenimento della<br />

Pubblica tranquillità, a lui, egli nel giorno 8 corrente mese si presentò per metterlo nella conoscenza di<br />

siffatti voci allarmanti» 302 . Il Sottintendente era, dunque, messo al corrente dal Corrado delle asserzioni fatte<br />

dal nipote Paolo «che Giovedì 7 andante nelle ore pomeridiane, essendo andato a casa sua il Ferraro si fece a<br />

dirgli, trovandosi alquanto avvinacciato, che il giorno 12 di questo stesso mese si vogliono dividere le robbi<br />

altrui» 303 . Condotto in un’altra stanza il Corrado, venne fatto entrare Paolo Ferraro «di anni 28 nato e<br />

domiciliato a Gerace, di condizione fabbricatore, e presentemente a causa del suo mestiere dimorante in<br />

Canolo» 304 . Alle domande dell’Ispettore, affermò di non ricordare di essere stato a casa dello zio, né di aver<br />

detto le parole che gli si attribuivano. Firmato dai presenti il verbale, veniva fatto entrare lo zio per il<br />

confronto, durante il quale ognuno manterrà le proprie posizioni. Ma nell’interrogatorio reso davanti al<br />

giudice regio di Gerace Mauro ed al cancelliere Felice Antonio Valenti, il Ferraro si difese con molta<br />

prontezza ricusando tutte le accuse dello zio con il quale erano «in dissapori per quistioni di interesse» 305 .

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