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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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occuparsi del di lui giudizio» 243 . E sulla stessa falsariga il ministro Del Carretto «La ringrazio molto d’essersi<br />

compiaciuta colla pregevol sua del 24 cadente, num. 217, manifestarmi la presentazione di D. Pietro<br />

Mazzone, capo sedizioso del comune di Roccella, il quale ora trovasi a disposizione della Commissione<br />

militare. Questa lettera fu scritta il 30 settembre: due giorni dopo, il Mazzoni era morto» 244 .<br />

Da una riservatissima del ministro per gli Affari Interni Santangelo 245 , si chiarisce ancora di più la<br />

dinamica dei fatti riguardo alla presentazione del Mazzone. Il Santangelo affermava di aver ricevuto la copia<br />

in merito «all’arresto ed alla presentazione de’ rivoltosi» 246 ; una segnalazione preziosa utile ad avvalorare la<br />

tesi che la presentazione che continuamente nei rapporti viene menzionata, fu ignobilmente travisata dalla<br />

Commissione militare che «mostravasi rigida al segno da non ammettere la presentazione (...). E quel buon<br />

Vescovo ripeteva essere singolare che egli, ministro di pace, sorregger dovesse in quel riscontro l’animo di<br />

un uomo di guerra» 247 , riferendosi al Nunziante.<br />

14. Processo e condanna<br />

In quel frangente di tempo che separava i giovani dalla triste sentenza, i parenti delle vittime<br />

facevano di tutto per cercare di salvarli. Il Generale si schermiva affermando che quanto di suo potere era già<br />

stato compiuto nel costituire la Commissione militare 248 . E consigliava i parenti di partire per Napoli ed<br />

affidarsi alla clemenza del re. Per questo motivo aveva disposto per loro il rilascio del passaporto per la<br />

Capitale 249 . Il Bonafede aveva, infatti, comunicato al marchese Nunziante che i genitori dei capi rivoltosi<br />

Bello e Mazzone «m’hanno con immensa premura domandato le carte di passaggio per Napoli, ed io<br />

aderendo alla richiesta ho rilasciato loro quelle carte. Invece, però, di affrettar la partenza (...) li vedo<br />

freddamente trattenersi ancora qui» 250 . Può darsi che nel frattempo siano intervenuti fattori contingenti che<br />

avranno garantito una conclusione “morbida” del processo 251 . Ma «sospettando (...) che non macchinassero<br />

con i Padri degli altri rivoltosi Ruffo, e Verduci, li quali pure si trattengono in Geraci, di far evadere i<br />

rivoltosi tutti, e particolarmente i loro figli, tentando mezzo qualunque» 252 , il Sottintendente si rivolgeva<br />

all’ispettore di polizia per disporre la massima sorveglianza. Il dubbio potrebbe avere, comunque, un suo<br />

fondamento.<br />

Il Bonafede si accorse ad un certo punto che la Commissione andava a rilento. Le carte, i verbali<br />

c’erano, le testimonianze pure per condannare i sette alla pena capitale. Come mai gli uomini di legge<br />

traccheggiavano? Con eccesso di zelo, come verrà accusato poi dal Nunziante nei suoi due opuscoli, sollecita<br />

Generale e Commissione ad accelerare i tempi. I processi verbali dei giudici di Siderno, Castelvetere, Ardore<br />

e Gioiosa erano già stati acquisiti: era inutile attendere quelli di Bianco e di Staiti 253 . I rapporti di polizia e i<br />

capi d’accusa erano sufficienti. Il Bonafede sollecita una conclusione del processo non ammettendo ritardi<br />

che potevano essere nocivi alla salute del Regime. La sua risposta ad una lettera del Nunziante del 27<br />

settembre 254 con cui aveva chiesto elementi nuovi per giudicare gli imputati, era stata di questo tenore. Per<br />

questo motivo, data l’insistenza, il Nunziante dà inizio ai lavori della Commissione militare.<br />

Lo stesso Generale, per certi versi, rimane incredulo sulla celerità della Commissione quando ebbe a<br />

riunirsi per la seconda volta. Molto significative sono le sue parole che fanno pensare ad una collaborazione<br />

attiva di alcune regìe civili nel determinare il tragico epilogo: «Intanto la Commissione fedele ai suoi principi<br />

e ad una sollecitudine di cui il generale non ha saputo mai rendersi adeguata ragione (...), dopo solo due ore<br />

rispose» 255 e così anche il Pubblico Ministero «esigeva a ripetute istanze si eseguisse la condanna in<br />

brevissimo tempo» 256 . Troppe coincidenze, troppa fretta, sinonimo in genere di paura. Sopprimere delle vite<br />

umane non può essere così facile, specie quando l’esecuzione si è in coscienza di evitarla. E ciò avviene solo<br />

quando forti interessi vengono ad essere minacciati.<br />

«La concezione dell’esemplarità della pena era largamente ammessa, e, ripugnando ormai la<br />

coscienza popolare ai raffinamenti di crudeltà, il supplizio circondavasi di lugubre pompe» 257 . La grazia era<br />

prerogativa solo del re e veniva accordata solo su richiesta del condannato e del difensore 258 , ma tante volte,<br />

come nella circolare del 25 settembre 1847 259 veniva attribuito alla Commissione militare la possibilità di<br />

sospendere la condanna a morte.<br />

Come furono processati i Martiri? Da chi furono interrogati durante il processo? Le cose, stando la<br />

procedura militare del tempo dovettero andare così: riunita la Commissione militare con procedura<br />

immediata 260 , gli imputati vennero invitati a nominare gli avvocati difensori, ai quali furono assegnate poche<br />

ore per studiare l’accusa e gli atti del processo ove ve ne fossero stati. Il dibattimento seguiva l’istruttoria<br />

preparata dal commissario del Re.<br />

Era di fatto competenza delle Commissioni militari giudicare i reati che riguardavano la sicurezza<br />

interna dello Stato, previsti dagli artt. 120 e 146 della legge penale. La stessa legge prevedeva un diverso

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