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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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Perché questo taglio? Forse, dopo la stampa dei Cenni, il Nunziante si accorse che bisognava in<br />

qualche modo spiegare il dissidio tra le parole ed il fatto. Egli preannunzia al Re la sentenza per dopo il<br />

quattro ottobre, e la fa eseguire il due. Accenna al prossimo onomastico del principe Francesco, dicendo che<br />

l’avventuroso giorno verrà forse seguito dal lutto di molte famiglie, mentre in realtà il lutto delle famiglie<br />

non seguiva, ma precedeva la festa francescana del 4 ottobre» 355 . È evidente che le ragioni supportate dal<br />

Nunziante si trovano in una chiara contraddizione tra l’intenzione e i fatti che sono susseguiti: «se aveva<br />

indugiato tre settimane a preparare gli elementi del giudizio, perché non indugiare un altro solo giorno a<br />

preparare un’opera buona? C’è da pensare che il Generale, non trovando ragioni convincenti, abbia con<br />

taglio radicale stroncata la lettera» 356 .<br />

Il Nunziante, e sono i fatti a dirlo, si dimostrò titubante e debole 357 , in quanto poteva salvare i cinque<br />

condannati. E questo fu il suo limite. A Giuseppe Mazzone diceva parole di incoraggiamento sapendo che il<br />

figlio si era spontaneamente presentato; i medici Ruffo e Bello erano stati, invece, invitati dal sibillino<br />

Bonafede a ritirarsi nei loro paesi e confidare nell’opera della giustizia; mentre Antonio Verduci minimizzava<br />

la cosa affermando che in fondo erano dei giovani che avevano fatto solo un po’ di chiasso. Considerate,<br />

poi, le mitigate condanne promulgate a Reggio nei confronti dei condannati a morte De Lieto, Genoese e<br />

Mileti 358 , si pensava veramente alla concessione della grazia. A rigor di logica non è spiegabile, secondo il<br />

Pandullo, una condanna più pesante rispetto alle vere e proprie menti che partorirono il movimento. Infatti,<br />

«i promotori di Reggio non furon dichiarati veri capi, e lo furon intanto quei giovani del Distretto di Gerace,<br />

che agivano per gli ordini dei riformatori di Reggio» 359 . Il Bonafede ebbe a scrivere, riprendendo uno stralcio<br />

del processo 360 , con molta convinzione che «la punizione di morte nei reati politici sia il rimedio ultimo e<br />

salutare della <strong>società</strong> inferma» 361 , paragonandola ad un medico che «taglia una parte per avere vita al<br />

tutto» 362 . Egli ebbe a constatare che di continuo le grazie venivano concesse con troppa facilità, ciò<br />

«equivarrebbe ad abolizione della pena di morte per siffatti reati; i quali essendo i più perniciosi che si<br />

conoscano, perché a danno di una <strong>società</strong> (...), non dovrebbero a mio giudizio aver perdono» 363 .<br />

La morte dei giovani non giocò certamente all’immagine, diremmo oggi, del Borbone. Lo stesso<br />

Nunziante si rese evidentemente conto della situazione a tal punto che sciolse la Commissione militare<br />

geracese e rimandò gli altri accusati della sommossa ad essere giudicati in quella di Reggio. Fra i<br />

provvedimenti intrapresi, il Generale creò un ospedale da campo diretto dal medico Pasquale Accorinti e<br />

diede l’ordine disciplinare di radere barba e capelli a tutti gli accusati politici. Al dottore Accorinti, che<br />

ricopriva la carica anche di 2° eletto nel Comune di Gerace, fu accordato dal Re, perché con «zelo ai suoi<br />

doveri e si prestò anche per le truppe curando gratis i soldati infermi (...), l’onorificenza dell’Uniforme di 3°<br />

chirurgo Militare» 364 .<br />

Il marchese Nunziante era infastidito della politica altalenante condotta dal ministro Del Carretto. A<br />

riprova delle esagerazioni che venivano date a danno dell’“immagine” dei rivoltosi che erano dipinti alla<br />

stessa stregua dei briganti, bramosi di sangue e di danaro, lo stesso Nunziante ebbe a scrivere al Sovrano:<br />

Nelle notizie interne dei nostri giornali si parla di questi rivoltosi come mascalzoni e persone di poco conto. Io però sono<br />

nel dovere di fare rispettosamente rimarcare a V. M. che se ciò si è scritto per intimorire gli altri rivoltosi, l’espediente può sembrar<br />

regolare; ma alla M. V. dee dirsi il vero; e quindi troverà qui acchiuso il notamento di coloro che hanno preso parte alla sommossa in<br />

questo distretto; e dal quale rileverà nomi di proprietarii, a mio giudizio, niente sciocchi, come vorreb[b]esi far credere 365 .<br />

Si legge fra le righe una tolleranza ben diversa da quella del Bonafede. Non solo. Il Generale<br />

presentò al Re una lettera con la quale esprimeva il suo concetto sulla politica che il Sovrano avrebbe dovuto<br />

intraprendere alla luce dei nuovi fatti: e cioè che «la M. S. si degnasse o di portare un miglioramento nella<br />

pubblica Amministrazione, o di concedere ai suoi popoli, senza farselo imporre, un costituzionale reg-<br />

[g]imento» 366 ; una posizione avanzata, rispetto agli atteggiamenti assolutistici del più stretto entourage del<br />

Monarca, che non trovò spazio, anzi finì per essere, dice lo stesso Nunziante, causa delle calunnie a lui<br />

attribuite. Il governo, per tutta risposta, dava disposizioni funzionalizzate a stemperare eventuali tentativi<br />

insurrezionali nelle altre province. Lo strumento repressivo era quello scelto per prevenire: il danaro e lo<br />

spionaggio, ovvero la longa manus della polizia che preparava la rete utile ad intrappolare i ribelli che<br />

potevano ricevere qualche indulgenza dallo Stato solo se denunziavano i complici. La polizia si serviva<br />

anche di strumenti subdoli, come la seduzione, e il convincimento attraverso gli strumenti del supplizio e<br />

della tortura. Il deterrente era spesso invisibile. Si facevano pressioni sulle famiglie, sui loro componenti<br />

invitati a cooperare per il bene comune.<br />

Il governo fu, però, costretto ad esser più indulgente, spesso per pressioni da parte di altri stati<br />

italiani e stranieri, specie per le pene di morte erogate con molta facilità. E lo prova anche il fatto delle tre<br />

circolari inviate dal ministro di Grazia e Giustizia Nicola Parisio per i fatti di Gerace 367 . La prima circolare

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