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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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varie altre persone, intraprese discorso dei fatti avvenuti in Messina stesso, narrando come ivi successe la<br />

rivoluzione, e che in quella stessa sede trovavasi in Porto un Vapore Inglese, su di cui si dicea esserino<br />

imbarcati circa venti dei primi Negozianti di quella Piazza Capi rivoltosi; che la provincia di Salerno era in<br />

rivolta, ed ivi le Truppe Svizzere, colà spedite (...) furono sconfitte dai rivoltosi, come pure, che gli<br />

Ab(b)ruzzesi trovavansi sommossi. Tale discorso passando di bocca in bocca, e con i soliti contorni di<br />

ognuno pervenne al mio orecchio» 216 .<br />

Mons. Perrone ottenne la liberazione dei Falletti di Siderno (zio e nipote), del sindaco, dei capurbani<br />

Ruffo di Bovalino e Marando di Ardore 217 ed alcune persone di Bovalino 218 . Per altre scarcerazioni «si agiva<br />

per caso, e con equivoco discernimento (...). Nessuna molestia personale si diede (...) ad altri facoltosi<br />

proprietari, la cui condotta era stata assai men chiara che non quella di molti disgraziati languenti nelle<br />

carceri; e cotesta insolita tolleranza accreditava il sospetto che non tutte le autorità della provincia fossero<br />

oneste ed inaccessibili ai doni ed alle potenti commendatizie» 219 . Vale per tutti l’esempio della voce di una<br />

presunta corruzione degli uffici geracesi attraverso cui il capurbano Giulio Marchese avrebbe condotto vita<br />

“tranquilla” dopo aver versato diverse centinaia di scudi 220 . L’eccessivo zelo dimostrato dal Bonafede,<br />

denunciato dal Nunziante nel suo opuscolo, consentì al Generale di allontanarlo da Gerace. L’occasione<br />

giunse dalla destituzione del capurbano di Gioiosa Domenico Ajossa 221 , uomo molto influente che avrebbe<br />

accolto ufficialmente la bandiera tricolore degli insorti. Il Bonafede auspicava la reclusione dell’uomo,<br />

perciò si mise a caccia di testimonianze che non trovò forse per timore del potere di quello. Il Nunziante, non<br />

ritenendo sufficienti le deduzioni del Sottintendente, ostacolò l’arresto dell’Ajossa e lo stesso Bonafede,<br />

risentito, scrisse una lettera al Generale che per tutta risposta propose il suo trasferimento 222 . Per altri ancora<br />

non si placava il rigore dell’incarceramento e della persecuzione, come nel caso di Francesco e Giulio<br />

Mezzatesta, Antonio Parisi e Vincenzo Verduci che, arrestati coll’imputazione di complicità di secondo<br />

grado, furono condannati al domicilio coatto in una prima sentenza; di nuovo tratti in arresto perché ritenuti<br />

complici di primo grado, uscirono di prigione solo con l’amnistia generale. E così anche il poeta Tomajoli,<br />

che, seppur non avendo commesso nessun tipo di reato, veniva trattenuto in carcere per cinque lunghi mesi.<br />

Per intercedere a favore del Grillo si era mosso da Napoli niente meno che il famoso generale Carlo Antonio<br />

Manhès. La lettera di raccomandazione diretta al Nunziante fu intercettata dal Bonafede, violando così il<br />

segreto epistolare verso il Generale.<br />

Il capo urbano di Campoli di Caulonia Domenico Jerace, detto “Circara”, arrestò all’alba del 10<br />

settembre Bello, Salvadori, Gemelli e Verduci traditi da Nicola Ciccarello alias “Tocca”, al quale avevano<br />

chiesto ricovero per la notte e dato del danaro. Questo secondo personaggio, dalla bisaccia del Bello ruberà<br />

90 ducati. Suo padre, Giuseppe, che partecipò al tradimento, cadde nel 1860 e i suoi beni furono bruciati dai<br />

liberali di Gioiosa; i figli Bruno ed Antonio, facenti parte la comitiva del brigante Ferdinando Mittica di<br />

Platì, fucilati. Il Verduci, notando al momento dell’arresto il Ciccarello, pare che lo abbia preso per<br />

strangolarlo e parecchie guardie siano intervenute per impedire il gesto. Domenico Jerace consentì agli<br />

arrestati di bruciare documenti compromettenti alcune persone e li difese dalle sue stesse guardie che<br />

volevano depredarli degli oggetti preziosi 223 . All’opinione pubblica veniva fatto credere che fossero ladri e<br />

mascalzoni. Dopo un primo interrogatorio operato dal giudice di Castelvetere Raffaele Loschiavo, scortati<br />

dal Jerace e dal capo urbano di Canolo Criniti, i quattro vennero accompagnati alle carceri di Gerace 224 . Bello<br />

nel suo interrogatorio reso al Loschiavo «si lagnò, che Ciccarello Tocca gli aveva rubato D. 90. Gl’urbani di<br />

Campoli che l’[h]an diligenziato m[h]an assicurato che il danaro che ciascuno potea avere poteva ascendere<br />

a D. venti per ognuno: Somme che non credei togliergli, perché dall’istruzione non apparivano corpo di reato<br />

da servire come pruove in giudizio, ed altronde non vi era paura da corrompere il custode, e bisognava a loro<br />

per vestirsi, e farsi scarpe, essendo arrivati laceri, e nudi» 225 .<br />

Gli interrogatori «come tutti gli altri elementi d’istruzione, che pur dovettero essere presentati alla<br />

Commissione militare, sono scomparsi. Rimane, solo il costituto del Bello, che fu pubblicato dal Bonafede, e<br />

non certo, data l’indole di costui, con benigno intendimento. Gli sembrò forse più degli altri timido e<br />

reticente, ed atto perciò a fasciare di un’ombra grigia la memoria di quegli sventurati» 226 . Ma il Loschiavo<br />

aveva taciuto sulle prime risposte date dal Bello, forse per il carattere compromettente delle asserzioni fatte<br />

dal giovane sidernese nei suoi confronti, essendo stato suo compagno di studi e frequentatore dei convegni<br />

liberali napoletani 227 .<br />

Il 10 settembre da Reggio il Sottintendente scrisse una lunga lettera indirizzata direttamente al Re,<br />

nella quale faceva il punto della situazione sull’andamento del moto. La cronistoria iniziava con le<br />

disposizioni date agli urbani, l’inseguimento del Romeo, del Plutino e dei rivoltosi nelle montagne di S.<br />

Stefano 228 , etc.

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