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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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dimostrare l’attaccamento che legava il popolo al Sovrano. Ma la figura di Calenda assumerà uno spessore<br />

diverso dagli altri funzionari che lo precedettero. Annotava, innanzitutto, che le voci sugli affari politici<br />

erano cessate 111 . Un’affermazione importante e significativa perché in effetti nei rapporti inviati, la parte<br />

politica e quella che riguarda gli attendibili sarà esclusa dai commenti mensili. Fino al ‘58, troveremo alla<br />

guida della Sottintendenza geracese un funzionario di sentimenti liberali, un uomo soprattutto che sapeva<br />

analizzare, da persona colta e lungimirante, il territorio amministrato. Nell’affermare che le novità politiche<br />

erano terminate, rileviamo un atteggiamento di chiusura con una forma di polizia che doveva rapportare<br />

anche i minimi movimenti dei “turbolenti”.<br />

«La sufficienza è di poche famiglie; la miseria quasi generale per la mancanza del ricolto del vino e<br />

dell’olio principalissimi prodotti di queste contrade» 112 e, afferma il Calenda, «generalmente la gente<br />

possiede quanto basta a tirare innanzi sottilmente la vita» 113 . Il Sottintendente si ferma non soltanto a fare<br />

l’analisi ma propone anche il sistema per alleviare la miseria: «Occorre quindi occupare la gente e<br />

somministrarle modo da vivere» 114 anche attraverso l’apertura dei “cantieri” per le opere pubbliche. Un modo<br />

sociale di vedere le cose molto attuale del resto. Per questo fine, continuava, «fa mestieri agevolare le<br />

autorità locali» 115 . Il governo impediva qualsiasi via d’uscita non consentendo di investire in opere pubbliche.<br />

Ciò produceva un freno all’amministrazione pubblica e non favoriva l’espansione del lavoro.<br />

I furti, sottolineava il Sottintendente, sono un fenomeno stagionale riferito solo ai mesi invernali<br />

quando non si ha da mangiare; rari i reati di sangue. Come si può dedurre, anche se c’era molta miseria, è<br />

questo un dato in attivo che bisogna riconoscere all’amministrazione borbonica. Certamente i mezzi per<br />

frenarli non erano dei più democratici ma servivano a raggiungere il fine.<br />

Una formidabile testimonianza sulle attività del tempo libero viene offerta dalla «compagnia di<br />

ginnastica di Giovanni Marillon di Bordeaux; ed un tale Tanzi di Cremona anche nella medesima<br />

professione» 116 , evidenti figure di saltimbanchi che andavano in tutti i comuni del Distretto per esibirsi nei<br />

loro numeri. Ritroveremo la stessa compagnia Marillon a fare attività nel Distretto da febbraio ad aprile del<br />

1857, assieme a Rachele Siciliano e i fratelli Giovanni e Angelo Maruzzi di Parma con «una scimmia<br />

giocatrice» 117 . I Maruzzi erano anche suonatori di organetto 118 , strumento utilizzato probabilmente<br />

nell’accompagnamento dei giochi proposti dalla scimmia e per l’esecuzione di melodie popolari per allietare<br />

i popolani. I passatempi erano molto graditi dagli abitanti. Ciò è confermato dal ritorno, dopo qualche anno,<br />

degli stessi artisti.<br />

Il Calenda iniziò la sua attività con i rapporti di un certo spessore socio-antroplogico. Scrisse<br />

innanzitutto una lunga lettera al direttore di polizia di Napoli mettendo in risalto le caratteristiche<br />

comportamentali delle donne del Distretto, denunciando, col sapore di chi ben conosce l’arte del saper<br />

comunicare, la «rilasciatezza di costumi» 119 , chiamando in causa specialmente le donne che hanno<br />

«riservatezza di abitudini» 120 , un contegno «dirò quasi del tutto calabro» 121 ma che è solo apparenza poiché le<br />

donne evitano di trattenersi di dare confidenza in pubblico «tra persone di diverso sesso» 122 , mentre poi in<br />

segreto...<br />

Calenda parla del diffuso pregiudizio «pel quale vorreb[b]esi che una donna serbasse (...) fare<br />

angelico» 123 , per cui quando aveva contatti verbali anche onestamente con qualcuno dell’altro sesso veniva<br />

irrimediabilmente etichettata acquistando cattiva fama. Ma non solo. Altre sono le cause che portavano alla<br />

“perdizione” di costumi. Nelle famiglie più agiate era consuetudine, per motivi facilmente intuibili dovute a<br />

non disperdere il patrimonio ma anzi consolidarlo, lasciare l’eredità al primogenito e destinare gli altri figli al<br />

sacerdozio, «non potendosi con impieghi pubblici» 124 perché considerati inadatti al loro lustro, lasciavano i<br />

giovani scapestrati «in balia di loro passioni» 125 ; poi c’era il cattivo esempio delle madri e infine, la<br />

condizione di subalternità «delle molte famiglie povere dipendenti dai pochi doviziosi che, mantenendole<br />

nelle proprie colonie, usano in esse per dritto e per traverso» 126 . Una denuncia delle condizioni sociali<br />

davvero rimarchevole per quei tempi.<br />

Le misure preventive e di “risarcimento” davano pochi risultati positivi anche perché, spiegava il<br />

Calenda, la popolazione, per la maggior parte sparsa nelle campagne, era difficile da controllare, tanto da<br />

sfuggire alla sorveglianza «e dalla repressione dei concubinati» 127 . Si cercò di studiare alcuni espedienti per<br />

tentare di frenare un fenomeno che derivava dalle condizioni di disagio sociale in cui versava la maggior<br />

parte della popolazione, abituata ad essere vessata e miseramente condizionata ad ubbidire a regole<br />

“illegali” che compromettevano prima di tutto lo stato morale dei loro “padroni”. D’accordo con il<br />

vescovo Pasquale Lucia si promossero le missioni in tutto il Distretto, con l’evidente intento di sensibilizzare<br />

lo spirito e il corpo a non abbandonarsi alle marachelle dei sensi. Si consentì di ricevere dai parroci le<br />

confidenze sui «capi di concubinato» 128 per poi poter procedere alle contromisure; di far smettere le<br />

tresche qualora le mortificazioni personali o il tentativo di combinare il matrimonio sia stato

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