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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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Da quanto esposto, appare un alone indelebile nella tanto sospirata Unità, a circa 140 anni dalla sua nascita<br />

messa forse in discussione, tanto da far pensare ad un Sud tradito e osteggiato. I forti prelievi fiscali, la vendita dei beni<br />

demaniali finalizzata a finanziare le grosse industrie del Nord e lo smantellamento di quelle poche esistenti al<br />

Sud, provocarono dopo pochi anni la grande emigrazione d’Oltreoceano. Il progetto economico soddisferà a<br />

pieno titolo le industrie settentrionali, peraltro rinvigorite e mantenute dal consumo dei loro prodotti nel Meridione. In questa<br />

dimensione, prende forma il concetto secondo cui «il Risorgimento è stato una conquista regia e non un<br />

movimento popolare e che il moto unitario in realtà si è compiuto più per interessi economici che per formule<br />

ideali, nebulosamente intese e misteriosamente intuite. Il moto politico che condusse all’unificazione<br />

nazionale (...), operò, paradossalmente, più per impedire che il popolo intervenisse nella lotta e la trasformasse in<br />

movimento di riscatto sociale, piuttosto che combattere ed annientare gli oppositori dell’Unità» 355 , tradendo,<br />

in questo modo, la nutrita schiera di uomini che si sacrificarono in nome della libertà e di un utopistico<br />

riscatto sociale.<br />

Le nostre considerazioni si fermano qui, non competendoci la trattazione di un argomento molto<br />

complesso. Diciamo soltanto che, nel momento in cui si arrivava a fondere i vari stati italiani, «quasi tutta<br />

l’attività economica si compendiava nell’agricoltura, più prospera nella valle padana e nella Toscana, più<br />

povera nel Mezzogiorno. A Nord la proprietà era poco frazionata e prevaleva la grande coltura, già si<br />

manifestava un’intraprendente borghesia terriera (...). A Sud il latifondo, le condizioni di tipo feudale<br />

pesavano sull’<strong>economia</strong> ritardando la formazione di un ceto medio» 356 ; condizioni di rilievo, perché il Sud<br />

entrerà a far parte con «trentatré milioni di ducati» 357 : un notevole patrimonio finanziario che il Borbone non<br />

aveva voluto investire e che contribuirà, invece al rilancio economico del suo più diretto avversario.<br />

Il governo piemontese a favore di coloro che furono danneggiati politicamente durante gli<br />

avvenimenti rivoluzionari emanò la Legge 8 luglio 1883, n. 1496. Fra quelli che produssero la richiesta<br />

ricordiamo un tale Giuseppe Zappia di Ardore, Giuseppe Totino di Grotteria, Bruno Forcelli da Gioiosa<br />

Jonica, il sacerdote Francesco Carabetto da Mammola 358 e Francesco Spadaro da Gerace 359 .<br />

Dieci anni dopo l’Unità d’Italia, nella provincia reggina le cose non erano cambiate di molto. Il<br />

sottoprefetto di Gerace Fernando Simonetta, in un suo consueto consuntivo inviato regolarmente al prefetto<br />

di Reggio, riguardo allo Spirito pubblico del Circondario nel 1871 riferiva che<br />

All’annunzio dei primi moti di Maida, Cortale e Filadelfia, una gran apprensione (...) dominava gli animi e le esagerazioni<br />

che in simili congiunture vengono raccolte con troppa credibilità, commossero allorquando la popolazione di questo Circondario, non<br />

escluso quella del Capoluogo. La gran maggioranza, costituita da proprietarj che per aver troppo presto dimenticato il lungo<br />

dodicennio del feroce dispotismo che funestò queste contrade dal 1848 al 1860, non sono né devoti, né ostili al governo<br />

Nazionale, temendo la baldanza cospiratrice della setta Mazziniana, disapprovi la spedizione di questi novelli Aragonanti,<br />

appartenente alla classe degli oziosi, vagabondi, e nulla tenenti, militanti sotto la bandiera del socialismo. Questa numerosa classe di<br />

proprietari, malcontenta per la gravezza delle tasse, non à smesso ancora l’abitudine di gridare contro il Governo, ma grida per<br />

consuetudine perché il gridare è di moda, non per convincimento, ed è alienis sima dall’associarsi direttamente o indirettamente a<br />

qualsiasi moto sedizioso 360 .<br />

Il malcontento generò il tentativo di “aggiustare” il tiro. Ma questa volta invece dei borboni saranno i<br />

piemontesi a tamponare l’emergenza: «L’insurrezione di Filadelfia, organizzata da mazziniani e garibaldini,<br />

sarà repressa nel sangue. Nella discussione che seguì in Parlamento sulla vicenda, i rappresentanti politici e i<br />

galantuomini del geracese, taceranno 361 » un silenzio che troppe volte e continuamente nel Meridione<br />

vediamo ancora oggi calare sul sipario dell’indifferenza.<br />

Quella del sottoprefetto Simonetta era una disamina lucida che, in particolare, focalizza le difficoltà<br />

in cui i piemontesi si trovavano. Non meno chiaro era il comportamento del clero che assumeva una<br />

sconcertante fisionomia fino ad allora camuffata dal reciproco accordo col potere borbonico:<br />

Il clero di questo Circondario (...) si trova d’accordo con le Sette nel voler distruggere l’opera dei plebisciti, ricorrendo alla<br />

Confessione, e sempre cospirando contro la propagazione dell’istruzione popolare onde perpetuare, se fosse possibile, la<br />

degradazione ereditaria nelle plebi, l’ignoranza e la superstizione, sconfortato dai progressi della libertà, rimase anche nello scorso<br />

trimestre in una timida circospezione, segnatamente dopo l’arresto di 3 Sacerdoti eseguiti in Ardore. Esso attende invano un<br />

movimento politico della Francia in senso legittimista e spera assai nel risultato finale del Concilio Ecumenico per vedere quale<br />

influenza potrebbe avere sulla politica dei governi cattolici. Il clero, quantunque generalmente assai rozzo, una volta potente, oggi si<br />

direbbe sgominato e messo in ristretti confini 362 .<br />

Non può passare inosservato che il Mezzogiorno da questo nuova realtà politica non trovò stabilità.<br />

«Anzi si lasciò che il Sud passasse di un tratto dalla categoria dei paesi a imposte lievi in quella dei paesi a<br />

imposte gravi (...) e che le sue industrie fossero smantellate, l’una dopo l’altra» 363 . Vincenzo Padula, un altro<br />

grande osservatore e studioso dei problemi della Calabria, a quattro anni dall’Unità ebbe a dire a proposito

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