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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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Da un verbale accluso agli atti, emerge che, ai primi di giugno del 1848, a Gioiosa si era formato un<br />

Consiglio di pubblica sicurezza composto dal sindaco Raffaele Macrì, da Vincenzo Amaduri e suo padre<br />

Giuseppe e dal giudice di Circondario Giuseppe Parandelli, con lo scopo di tutelare e mantenere l’ordine<br />

pubblico e far rispettare lo Statuto costituzionale 205 .<br />

Francesco Catalano testimoniò a favore di Giuseppe Mantegna, dicendo che non «provocò mai il<br />

comunismo, perché contrario allo stesso, ed in guisa che nel 14 maggio 1848 accorse con altre guardie a<br />

dissipare una folla che recavasi in casa del Sindaco per chiedere la divisione delle terre comunali, e fece<br />

parte della forza che in quel tempo recossi in Castelvetere per sedare un tumulto popolare» 206 . Le terre sono il<br />

tema degli scontri e la causa di quel malessere che fin dal ‘47 si era manifestato, anche se non marcatamente.<br />

I luoghi dove si concertavano le attività sediziose erano l’orto dell’Amaduri e il Caffè Sette 207 .<br />

Da un testimone veniva narrato uno strano fatto che ebbe protagoniste le persone più in vista del<br />

paese. Il testimone Vincenzo D’Agostino depose che nella farmacia del Mantegna, frequentata da persone di<br />

«diverso colore» 208 , c’era stato un pranzo con le presenze del barone Linares, il barone Domenico Ajossa e<br />

Giuseppe Macrì. Il Linares, a proposito di questo particolare, racconta che una sera mentre pattugliava il<br />

paese, «minacciato dai comunisti, si pervenne nella farmacia Mantegna. Che vi soffermarono, ed ivi<br />

mangiarono una provola portata da D. Domenico Ajossa, ed esso Linares somministrò il vino (...). Che la<br />

farmacia suddetta era luogo unicamente de’ così detti demagoghi, che erano gli accusati; e se per avventura<br />

vi entrava alcuna persona attaccata all’ordine ne era dileg[g]iata coll’espressione che puzza! che puzza e così<br />

era necessitato allontanarsene, tanto che l’intervento suo e di Ajossa in quella sera fu accidentale e per la<br />

cagione summentovata, e taluno li salutava col motto di Giovani italiani» 209 .<br />

Sulla questione che riguarda il reato di cospirazione e di attentato diretto a provocazione degli<br />

abitanti di Gioiosa «onde insorgessero armati contro l’Autorità Reale» 210 , dopo le deduzioni del caso, la GCC<br />

a pieni voti dichiarava il non consta per Luigi Pellicano-Castagna; mentre agli imputati Francesco Lopreste,<br />

Nicola Alì, Francesco Ierace e Vincenzo Logozzo, veniva riconosciuto «soltanto il reato di discorsi e fatti<br />

pubblici per oggetto di spargere il malcontento contro il Real Governo» 211 . L’Amaduri fu dichiarato complice<br />

«nel misfatto di cospirazione progettata ma non conchiusa ed accettata per oggetto di distruggere e cambiare<br />

il Governo, e di eccitare i sudditi e gli abitanti del Regno ad armarsi contro l’Autorità Reale» 212 . Con lui<br />

anche Beneamino Bruzzese, Beneamino Domenico Totino, Antonio Palermo, Raffaele Parise, Vincenzo<br />

Lucà, Francesco Sorbara, Vincenzo Carné, Francesco D’Agostino, Giuseppe Mantegna e Michele Fazzolari.<br />

A Francesco Sorbara venne ascritto il reato di «scritto sedizioso affisso in luogo pubblico,<br />

provocando direttamente gli abitanti» 213 . Il cartello era stato trovato attaccato la notte del 17 novembre del<br />

1848 verso le ore 2 e mezzo nella porta piccola della Cattedrale di Gerace dall’usciere Michele Stella fu<br />

consegnato la mattina successiva al parroco Giuseppe Maria Bova, che lo fece passare nelle mani del giudice<br />

regio a nome del Vescovo Perrone 214 . Lo scritto diceva:<br />

Fratelli. È risuonata l’ora del riscatto. Da tutti i punti corrono fratelli per unirsi a fratelli, onde formare un sol uomo, ed<br />

abbattere così la tirannide. Non ci facciamo come per lo innanzi fuggire questo momento prezioso, che non si avrà più il bene di<br />

riacquistarlo. I tirannucci si sono collegati per opprimere la misera ed onesta gente, riuniamoci ancor noi, e non ci facciamo illudere<br />

dalle loro lusinghiere parole, che ben si sa contenere veleno. Vendetta per Dio! Vendetta. Lungi la commiserazione chi ne ha avuto di<br />

noi? Niuno: dunque all’Armi, che Dio sarà con noi. Viva l’Italia 215 .<br />

Si scende nei dettagli. Il cartello era stato intravisto esattamente dallo Stella mentre assieme a suo<br />

figlio Bruno, si recava in casa del sarto Pasquale Longo. Il sospetto dell’affissione veniva a cadere sul<br />

ragazzo di 10 anni Domenico Sorrenti che il 9 dicembre successivo, durante un interrogatorio rivelerà al<br />

giudice di aver taciuto per le minacce ricevute dai fratelli Giuseppe, Pasquale e Alfonso Ameduri, carcerati.<br />

Era stato il Sorbara a porgere dalla grata della prigione il foglio da affiggere con l’ostia «nella porta della<br />

Cattedrale» 216 . Ma molte erano le incongruenze riscontrate nel racconto dello Stella per cui la Gran Corte,<br />

dopo le opportune considerazioni, dichiarava il non consta per il Sorbara 217 .<br />

Per quanto riguarda, invece, la questione del discorso in luogo pubblico «avente per oggetto di<br />

spargere il malcontento contro il Real Governo» 218 ad opera di Francesco Tropea, dalla pubblica discussione<br />

emerge che il 5 maggio 1850, secondo quanto affermava nella deposizione testimoniale Domenico Ierinò,<br />

l’imputato avrebbe detto che «Fra giorni verranno quattrocentomila Francesi e ci romperanno le spalle» 219 .<br />

Ma anche per lui viene applicato il non consta.<br />

Venivano rimessi in libertà per il non consta il Pellicano-Castagna, Vincenzo Taverniti e Francesco<br />

Tropea; mentre per quanto riguarda Vincenzo Amaduri, Beneamino Bruzzese, Beneamino Totino, Raffaele<br />

Logozzo, Antonio Palermo, Raffaele Parise, Vincenzo Lucà, Francesco Sorbara, Vincenzo Carné, Francesco<br />

D’Agostino, Giuseppe Mantegna, Giuseppe Salerno, Michele Fazzolari, accusati di «misfatto di complicità

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