cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica
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esso doveva essere impartito a tutto il popolo, mentre altre espressioni (stampa, spettacoli, circolazione di<br />
persone) erano sotto la diretta supervisione del governo. Il re deteneva i poteri di amministrazione diretta e<br />
giurisdizionali, di polizia e di vigilanza sugli enti locali attraverso le figure degli Intendenti e due corti di<br />
Cassazione dislocate a Napoli e Palermo; era di suo privilegio anche la nomina (in materia di pubblico<br />
impiego, per esempio), dei portieri ed uscieri maggiori; sceglieva i suoi ministri tra i nobili di corte, uomini<br />
di provata fiducia e fedeltà che spesso non avevano grosse attitudini. Sotto questo profilo si delineava uno<br />
scenario avvizzito, privo di slancio, per cui si ha l’impressione di avere un Consiglio di Stato temprato per il<br />
re.<br />
Il clima di diffidenza che si era creato dall’autorità nei confronti dei sudditi aveva instaurato uno<br />
stato poliziesco che si ingeriva dappertutto. Il caso più emblematico era la sorveglianza degli studenti da<br />
parte di una commissione composta da rappresentanti della Chiesa, dal Consiglio Generale della Pubblica<br />
Istruzione e da funzionari di polizia 16 . Gravi ammende venivano comminate agli insegnanti o ai genitori che<br />
non provvedevano a far frequentare una sorta di corsi di religione 17 agli studenti.<br />
Il Ministero di Polizia era molto drastico nelle misure di prevenzione, coltivando la cultura del<br />
sospetto. E’ il caso della circolare 18.6.1822 diramata agli intendenti con la quale veniva affermato che «non<br />
soltanto il reato commesso, ma il conato, la semplice esternazione, il discorso intemperante, la riunione<br />
bastamente sospetta, la imprudenza dolosa od abituale, meritano pronte misure di refrenazione, e di<br />
esempio» 18 . La discrezionalità dell’autorità era sempre prevalente ed aumentava con la gravità delle<br />
situazioni. Allo stesso modo in cui i sospettati ricevevano fastidi, quelli non sospetti esenti da simili controlli<br />
ottenevano, anzi, protezione (che in genere aumentava con la scala sociale di appartenenza).<br />
Con Ferdinando II anche se politicamente aveva perduto d’importanza, la corte «era brillante e<br />
fastosa, e composta dalla migliore aristocrazia del regno: era diretta da un maggiordomo maggiore, un<br />
cavallerizzo maggiore, un somigliere del corpo, ed un cappellano maggiore (...), e ne facevano parte cavalieri<br />
di compagnia, gentiluomini di camera e di entrata (...). La Casa militare del Re, era composta di aiutanti<br />
generali e di aiutanti di campo, scelti tra gli ufficiali dell’esercito e della marina» 19 . Egli si considerava<br />
esperto amministratore, diplomatico, generale, giurista; sintetizzando tutto il sapere di un capo supremo<br />
quale egli si sentiva di essere: «Questo principe è uno stolto, un presuntuoso, un avaro, un superstizioso (...).<br />
Inetto ad ogni cosa, vuol fare ogni cosa» 20 . Il re delle Due Sicilie era sovrano per grazia di Dio, per volere<br />
cioè, di un Ente supremo che il popolo doveva accettare senza porre condizioni e ubbidire ciecamente. Fin da<br />
piccolo «si persuase che egli è di natura superiore alla nostra povera natura umana: che può far tutto da sé:<br />
che i sudditi suoi debbono essere felicissimi, e però non vuole nemmeno ascoltarli» 21 ; un pater familias<br />
autoritario, sospettoso ed accentratore che voleva agire da solo (escludendo così la formazione di una classe<br />
politica in grado di garantire in orizzontale una collaborazione finalizzata alla sopravvivenza della stessa<br />
struttura monarchica).<br />
Con i francesi alla nobiltà era stato mantenuto solo il titolo onorifico escludendo d’esser ceto<br />
politicamente privilegiato. I borboni confermano le leggi abolitive della feudalità (anche se per accedere alle<br />
carriere, carriera diplomatica o di corte era richiesto il titolo nobiliare) e istituiscono la legge sul<br />
maggiorasco. Ma dall’altra parte, essendo per grazia divina al trono, come poteva condividere la funzione di<br />
legislatore con altri “mortali” di un potenziale parlamento costituzionale che considerava principio di<br />
illegalità ed anarchia? «Ferdinando fu coerente a se stesso, e con ferrea logica si valse di ogni mezzo per<br />
sostenere le sue convinzioni e quel che gli sembrava suo diritto. Mansueto perciò verso i timidi e i pentiti,<br />
spregiatore dei vili ma prodigo verso chi pur vilmente lo serviva, era spietato contro i pertinaci» 22 .<br />
Ferdinando II era alieno dagli studi e guardava con molta distanza gli uomini di cultura che definiva<br />
“pennaruli” e di cui aveva una sintomatica paura. Diffidava di tutti ed era pronto in un attimo a commutare i<br />
suoi ministri se gli apparivano sospetti, occupandosi perfino di affari di governo di minore importanza.<br />
Devoto alla Vergine ed ai Santi, ogni mattina ascoltava la messa e i consigli del suo confessore monsignor<br />
Cocle (che usava tutta la sua influenza per mantenerlo eternamente “fanciullo”). I suoi pensieri non<br />
correvano certamente a salvare dalla fame otto milioni di sudditi, ma navigavano tra rassegne di soldati e<br />
feste di corte. Visse, comunque, in un’epoca di grande rinnovamento sociale che egli non comprese, anzi,<br />
tentò in tutti i modi di impedire quelle trasformazioni che in altri paesi erano in via di sviluppo. Il Re<br />
dispensava diverse tipologie di ordini cavallereschi: il Real Ordine di S. Ferdinando era dato a chi si<br />
distingueva per particolari servigi o aveva dato prova di fedeltà nei confronti della salvaguardia della corona.<br />
Il Real Ordine di Francesco I veniva conferito, invece, a civili, a militari, a pubblici funzionari<br />
particolarmente distinti nello svolgimento delle proprio dovere nell’ambito delle cariche civili.