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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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Nel documento il funzionario forniva qualche indicazione sui difetti dell’articolo 31 che permetteva,<br />

dopo 10 anni di possesso, la vendita delle quote divise tra i contadini, dovuta all’impossibilità di coltivarle<br />

per mancanza di capitali, per cui «le quote ripiombarono in potere dei maspoderosi» 65 . Per superare questa<br />

situazione di svantaggio, il Sottintendente di Crotone suggeriva di: dichiarare «che non potevano vendersi,<br />

né consarsi, né affittar le quote, e laddove venissero abbandonate ritornassero al Comune per riconcedersi<br />

ai poveri» 66 . I contadini - abbandonati nella loro stessa miseria poiché non potevano coltivare la terra per<br />

mancanza di fondi utili all’acquisto di sementi, abbagliati dal denaro offerto loro dai proprietari, stanchi delle<br />

tensioni createsi nel 1811 - offrivano a prezzi irrisori i propri appezzamenti, alimentando in maniera<br />

poderosa i nuovi latifondisti. Il Bonafede consigliava di riprendere in mano la legge perché diverse erano le<br />

condizioni offerte nel 1845 con l’istituzione dei Monti Frumentari che davano ai contadini la possibilità di<br />

avere in forma di prestito le sementi, proponendo «alle superiori Autorità che fossero annullate le vendite<br />

irregolarmente avvenute delle Colonie e che le quote risultanti dalle prossime divisioni non potessero né<br />

vendersi, né censirsi, né affittarsi, ma dovessero essere coltivate dai quotisti medesimi, i quali avrebbero<br />

dovuto godere dei benefici dei Monti Frumentari» 67 . Il governo rimase sordo all’appello rivolto dal<br />

Bonafede: «la questione rimase insabbiata e non fu dato dai ministeri alcun parere sui provvedimenti<br />

proposti dal Bonafede: l’interesse delle classi possidenti era opposto alle proposte di lui» 68 .<br />

Il motivo si ripeterà anche nei decenni successivi. La cessione delle quote e l’accrescimento dei<br />

grandi fondi continuerà, infatti, anche con il Regno d’Italia, che tante speranze aveva dato ai coltivatori della<br />

terra, confermando una legge vecchia, logora, destinata ad elevare economicamente quelli che Bonafede<br />

chiama i “maspoderosi” e barricando sempre di più nella miseria al limite della sopportazione umana le<br />

classi contadine per le quali la legge era stata in origine emanata.<br />

7. Il colonnello Francesco Rosaroll<br />

Il Rosaroll, che comandava il 6° Reggimento di linea, era alle dipendenze del generale Nunziante. Il<br />

Visalli, riprendendo un’affermazione di M. D’Ayala 69 , riporta che, nominato a presiedere la Commissione<br />

militare, il colonnello si sia visto rifiutare dal Nunziante la proposta di rinviare la causa.<br />

Francesco Rosaroll era fratello di Giuseppe, validissimo generale fautore della Costituzione del ‘21 a<br />

Messina ed esule in Grecia assieme a Santorre di Santarosa e Bayron. Per questo motivo si pensava che<br />

avrebbe usato clemenza nei confronti degli accusati. Un suo nipote aveva addirittura attentato alla vita di<br />

Ferdinando II. Forse per queste “ignominie” di famiglia, si comportò in maniera diversa nei confronti dei<br />

condannati. Il colonnello durante il processo sputò sulla bandiera portata dal Bonafede sul banco delle<br />

accuse; quello stesso vessillo che avrebbe difeso più tardi a Venezia. Anche lui fu insignito dopo i moti della<br />

Croce di Francesco I.<br />

8. Il generale Ferdinando Nunziante<br />

Il Marchese Nunziante venne inviato in Calabria per sedare le rivolte della Provincia di Calabria<br />

Ultra I. Sbarcò a Pizzo il 4 settembre 1847; la notte del 5 si diresse verso il Distretto di Palmi e quindi a<br />

Reggio passando da Rosarno. Dopo l’uccisione di Domenico Romeo, il Generale arrivò a Gerace con 1500<br />

uomini. Contro di lui si scagliarono i liberali accusandolo, avendone il potere, «di non aver voluto rimandare<br />

al pomeriggio la seconda convocazione dei giudici, e così, non potendo per legge eseguire condanne a morte<br />

nei giorni festivi 70 , si sarebbero avuti tre giorni di tempo per invocare la grazia sovrana. Il Generale afferma<br />

che ci aveva pensato, e addossa la colpa alla Commissione la quale rispose troppo presto, cioè dopo due ore<br />

soltanto» 71 . Inevitabilmente il suo nome, assieme a quello del Bonafede, è legato all’andamento dei fatti che<br />

portarono ad una esecuzione che poteva essere evitata.<br />

9. Il vescovo Luigi Maria Perrone e l’accusa<br />

Dopo «tre mesi di contrasti, e due solenni rinunzie (e direi ancor tre, se la terza non fosse stata<br />

involata)» 72 ambedue non accolte dal Re, monsignor Perrone veniva elevato a vescovo di Gerace. Di umili<br />

origini 73 , fu nell’occhio del ciclone per aver cantato in Cattedrale, due giorni dopo l’uccisione dei cinque<br />

giovani, il Te Deum e di aver pronunciato, secondo alcune fonti, la frase Moestitia implevit cor nostrum.<br />

Moestitia nostra conversa est in gaudium. Il Vescovo, con la sua influenza, poteva adoperarsi per rinviare la<br />

condanna in modo da consentire alle famiglie di poter chiedere la grazia? Dallo striminzito carteggio

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