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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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ossa. Panetta e Pancallo, notando che non apparteneva alla Guardia nazionale, lo invitarono a togliersela;<br />

azione che fece dopo qualche esitazione, soggiungendo «che il signorino suo a nome D. Pasqualino<br />

Capogreco gli ha dato ordine di mettersi la coccarda» 407 .<br />

Dopo qualche ora successe l’episodio del Bufalo che, all’invito della Guardia nazionale di togliersi la<br />

coccarda, rispose: «Allora mi levo la coccarda quando strappo il mustacchio dalla forza (...). Chi ha<br />

coraggio che venisse a strapparmela» 408 . In relazione alla zuffa tra il Sansalone ed il Commisso ricordava<br />

l’esclamazione di quest’ultimo: «S. Diavolo mi minò Gaetano Sansalone; ed in questo mentre sento la voce<br />

del guardia Michele Melia, che da prima era inerme, che gridava fuoco, fuoco» 409 . La guardia prendeva posto<br />

in vari punti della piazza. A questo punto arrivò in scena Pasquale Scaglione che avrebbe invitato tutti alla<br />

calma dicendo: «Quieti, quieti figlioli» 410 . Il Panetta si sarebbe recato al Borgo, affermava il testimone, per<br />

chiamare la forza pubblica a mantenere l’ordine «e per l’effetto vi fu anche un Ufficio di questo Sindaco» 411 .<br />

Unitasi la compagnia del Borgo a quella di sopra si adoperarono insieme a perlustrare la Città per mantenere<br />

l’ordine pubblico. Alle ore tre, Teotino dopo aver chiuso la spezieria, nell’atto di scendere al Borgo, dove<br />

abitava, incontrò il tenente Gallucci che gli consegnò una lettera diretta al capitano Del Balzo contenente «la<br />

provocazione delle disposizioni perché si ritirasse la pattuglia del Borgo da lui comandata, mentre era tutto<br />

tranquillo» 412 .<br />

Michele Pedullà, di anni 27, sulla questione del Governo provvisorio non ricordava nulla. La notte<br />

del 23 luglio, montato di guardia unitamente ad altri e con il plotone che era salito dal Borgo, mentre una<br />

parte di esso perlustrava la Città, rimase al posto di guardia anche dopo che la compagnia del Borgo si era<br />

congedata. Qui si vide assalito da Vincenzo e Pasquale Sansalone ed altri individui, «i quali ci disarmarono e<br />

si presero loro il posto di guardia e tutti gli altri miei compagni se ne andarono essendo io solo rimasto, ed i<br />

fratelli Sansalone mi diedero il fucile per rimanere con loro a mantenere l’ordine pubblico» 413 . A questo<br />

punto Giuseppe Pancallo richiamava la guardia che intervenne a ristabilire l’ordine.<br />

Il 19 settembre 1848 veniva ascoltato Domenico Marzano, di anni 40, industriante, il quale aveva<br />

saputo del Governo provvisorio dalle voci che circolavano a Gerace. Il Marzano riferì che vide illuminati il<br />

posto di guardia e la bottega del Larosa e la casa dei fratelli Pancallo perché era corsa la notizia della disfatta<br />

del Nunziante all’Angitola, ma non era in grado di dire chi aveva ordinato quella simile manifestazione.<br />

Riguardo ai fatti del 23 luglio, mentre si trovava nella sua bottega intento a curare i propri affari, sentì ad un<br />

tratto chiasso e, affacciatosi in mezzo alla porta, vide molte guardie con i fucili spianati ed i fratelli Felice e<br />

Pasquale Scaglione che uscivano dalla bottega di Clemente Vita «e con le belle loro maniere rimisero<br />

l’ordine» 414 .<br />

Il giovane farmacista Gennaro Cesare di anni 20, fratello dell’imputato Francesco, con molta sagacia<br />

e icasticamente, sulla faccenda del Governo provvisorio affermava che esso non venne attuato perché «nullo<br />

si è prestato» 415 .<br />

Gaetano Briglia di anni 62, segretario della Sottintendenza di Gerace, testimonia che alla fine di<br />

giugno Aracri aveva tentato di installare un Comitato di Pubblica Sicurezza, affiancato da Vincenzo Panetta,<br />

Benedetto Accorinti, Francesco Cesare, Giuseppe Arcano, Bruno e Filippo Vitale, Gaetano Gallucci ed altri,<br />

i quali si riunivano in casa dei fratelli Del Balzo dove dimorava l’Aracri. Per la fermezza dimostrata dal<br />

sindaco Ettore Migliaccio, continuava il Briglia, «e di tutti i buoni di questa patria» 416 , il pericolo era stato<br />

allontanato.<br />

È il turno di Clemente Vita, 41 anni, mercante, che dalla “pubblica via” apprese quanto successo in<br />

giugno, narrando i fatti analogamente come raccontati dal precedente testimone. Riferiva, inoltre, per sentito<br />

dire, che erano stati affissi i manifesti “incendiari” contro il governo ignorando chi fossero stati gli autori; gli<br />

schiamazzi notturni, erano da attribuire a Giuseppe Scaglione, Giuseppe Pancallo, Pasquale ed Alfonso<br />

Ameduri, Vincenzo Meligrana e Giuseppe Antico «i quali venivano seguiti da una turba di ragazzi» 417 . Per<br />

quanto riguarda la coccarda rossa, la notte del 23 luglio dalla sua bottega udì un bisbiglio ed un tumulto<br />

provenire dalla piazza ed affacciatosi vide i fratelli Scaglione, che prima erano nella sua bottega, accorrere<br />

per mettere termine al disordine che si era creato. Gli altri episodi connessi dichiara di ignorarli; mentre<br />

testimonia a favore della schiera coinvolta nell’attentato a cambiare forma di governo che sarà dal tribunale<br />

assolta.<br />

Vincenzo Rippa, 28 anni, caffettiere, parlando dell’Aracri, rivelò i nomi di coloro che lo<br />

affiancarono 418 ; e di quelli che avevano affisso i manifesti incendiari 419 . Poi raccontò l’episodio della<br />

coccarda rossa e l’alterco tra il Sansalone ed il Commisso che aveva dato ordine alle guardie di schierarsi per<br />

mantenere l’ordine pubblico: «Io ignoro veramente quale idea vi poteva essere coll’eccitare la briga avvenuta<br />

il 23 Luglio in questo abitato, e non posso con franchezza dirvi se si attentava contro l’attuale forma di<br />

governo, e se si cercava suscitare una guerra civile fra gli abitanti di questa Città» 420 . La colpa era da

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