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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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giorno successivo all’intendente di Reggio, sulle mosse degli imputati politici Vincenzo Scordo di Bianco e<br />

Carmine Rossi messi in libertà, ma ristretti a domicilio coatto.<br />

15. La presunta grazia<br />

In alcuni testi viene fatto riferimento ad una presunta grazia concessa ma tenuta nascosta o<br />

addirittura mostrata dopo l’esecuzione. Il Fava asserisce che «la responsabilità di questo inumano quanto<br />

inutile eccidio fu palleggiata, dopo, fra il Nunziante, la Commissione e un galantuomo di Gerace, che era<br />

anche, oggi si direbbe, un pezzo grosso, di cui si tace il nome ma si fa chiara allusione. Costui - non si sa per<br />

quale ragione - avrebbe fatto in modo che il plico contenente la grazia, arrivato da Napoli, fosse aperto dopo<br />

che erano trascorse le 24 ore e l’esecuzione era già avvenuta» 332 . Il Fava fa riferimento anche a quanto riporta<br />

il Manzi, il quale imputa «ad opera di uno sciagurato» 333 la mancata apertura del piego contenente la grazia.<br />

«Questi, che infamemente contribuì alla morte di quei generosi, di poi impazziva ed il suo nome è ancora<br />

imprecato sulle rive del Jonio 334 . Guglielmo Pepe nell’Histoire des Révolutions d’Italie afferma: «Mais la toif<br />

du sang était telle chez les satellites du roi che le décret de suspension ne réussit point à sauver Bello,<br />

Mazzoni, Ruffo, Salvadori et Verduci» 335 , facendo riferimento alla sospensione della pena ottenuta dai<br />

reggini ed alla mancata consegna di una grazia speciale per i Martiri geracesi.<br />

Fava scrive che un discendente del Ruffo, avvocato e giornalista, scrisse «su la Folgore di Reggio<br />

una serie di articoli sanguinosi contro la memoria di colui che egli crede il carnefice del suo congiunto; ma,<br />

purtroppo, senza prove dirette e fatti determinati (...). Nondimeno dobbiamo rilevare che molti e gravi indizi<br />

pesano (...) sull’accusato, avvaloranti le affermazioni del Ruffo. Anzitutto notiamo che di fronte alle esplicite<br />

accuse di quest’ultimo, nessuno dei parenti dello Scaglione - tale è il nome del colpito - rispose. Inoltre, se la<br />

figura morale del Cavaliere X, ritratta, nel suo libro “O Tempora, o Mores (V. Folgore, a. I, n. 11), del<br />

Calenda dei Tavani, il quale ebbe agio di conoscere uomini e cose di Gerace, nella qualità di sottintendente<br />

di quel distretto, risponde, come il Ruffo afferma, alla persona di Pasquale Scaglione, cavaliere dell’ordine di<br />

Francesco I, vi troveremmo la capacità a commettere l’azione malvagia. E se qualcuno volesse sollevare il<br />

dubbio sulla difficoltà di spiegare perché il piego sarebbe pervenuto proprio a lui, che non rivestiva alcuna<br />

carica ufficiale, e come avrebbe avuto modo di tenerlo celato per delle ore e, chi sa, per giorni, si potrebbe<br />

rispondere col Calenda ch’egli era in diretto e segreto carteggio col ministro di polizia ed anche col re» 336 .<br />

Ma l’argomento ha bisogno di alcune considerazioni. Innanzitutto lo Scaglione in quei giorni si<br />

trovava nel centro di Oppido presso parenti della moglie 337 . Dal momento della sentenza all’esecuzione erano<br />

trascorse solo 16 ore. Ci pare impossibile che si potesse avere un responso da Napoli, in una fase storica in<br />

cui il mezzo di comunicazione più veloce era il telegrafo ad asta che poteva funzionare solo durante le ore<br />

diurne e col cielo sgombro da nubi o nebbia. Inoltre bisogna considerare anche che il posto di trasmissione<br />

più vicino era Palmi o Reggio, per cui occorrevano diverse ore di viaggio per raggiungere una delle due postazioni.<br />

Il dispaccio 338 che comunicava a Napoli l’avvenuta esecuzione fu spedito dallo stesso Nunziante a<br />

Palmi la sera del 2 ottobre e arrivò a Napoli il 3 quando ormai le esecuzioni capitali erano già state<br />

eseguite 339 .<br />

A dissipare ogni dubbio sulla presunta grazia viene in aiuto un foglio di carta riscontrato nel<br />

fascicolo sullodato dal Visalli. Il foglietto è accluso alla lettera scritta dal Bonafede il 5 ottobre: «Sarà della<br />

saggezza di V.E. risolvere se debba farsi intesa S.M. il Re (D.G.) di questa esecuzione e delle circostanze che<br />

l’accompagnarono. Certo che il Real animo ne sarebbe conturbato. È un orrore!» 340 . E in calce il Del<br />

Carretto: «Mi si parli» 341 . Alla fine ancora la stessa mano di sopra aggiunge: «S.E. terrà convenevolmente<br />

proposito a S.M il Re» 342 . L’autore dell’interessante intercessione è rimasto ignoto. Comunque vale la pena<br />

citarla poiché quando giunge a destinazione intorno al 7 ottobre, «non erasi parlato ancora al Re circa i<br />

particolari della condanna e della esecuzione, e perciò nessuna grazia da lui poteva aspettarsi. E nemmeno si<br />

poteva pensare ad un decreto preventivo d’indulgenza» 343 in quanto era sufficiente che Nunziante non<br />

surrogasse ai giudici la sentenza e mettesse in pratica la terza circolare. Quanto detto potrebbe sciogliere<br />

dalle accuse lo Scaglione, il Migliaccio, il Correale e gli altri dalla supposta occultazione della grazia.<br />

16. Accuse, difese e considerazioni dopo la fucilazione<br />

Perché i parenti delle vittime non andarono a Napoli prima del processo? Possibile che nessuno abbia<br />

pensato di prevenire l’esito dell’azione giudiziaria? Forse la nomina del colonnello Francesco Rosaroll a<br />

presidente della Commissione, aveva fatto ben sperare i parenti delle vittime. Intanto, erano giunte buone<br />

notizie da Reggio, dove le condanne a morte di alcuni cospiratori del luogo erano state sospese. Il giorno

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